
Un caro saluto a tutti. Ci sono novità da parte dei nostri amici del Vaticano. L’omosessualità, anche se non praticata attivamente, “è una deviazione, una irregolarità, una ferita che impedisce di relazionarsi correttamente con gli altri”: la precisazione è del cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, espressa nel corso della conferenza stampa di presentazione del nuovo documento vaticano sugli “Orientamenti per l'utilizzo delle competenze psicologiche nell’ammissione e nella formazione dei candidati al sacerdozio”.
Il prefetto del dicastero vaticano competente sulla disciplina dei seminari aggiunge: “Non si può ammettere al seminario un candidato che ha una tendenza omosessuale radicale. Non perché commette peccato, ma perché l’eterosessualità è la normalità, l’omosessualità è una deviazione, una ferita per poter esercitare il sacerdozio, che consiste anche nell’essere un padre spirituale e nel sapersi relazionare con gli altri”.
Il documento presentato questa mattina in Vaticano, spiega il cardinale Grocholewski, richiama “il contesto socio-culturale attuale che influisce sulla mentalità dei candidati che si presentano al Seminario, creando, in certi casi, delle ferite non ancora guarite oppure gravi e particolari difficoltà psicologiche”. Tra questi il porporato elenca “il disagio di un’emergente mentalità caratterizzata dal consumismo, da instabilità nelle relazioni familiari e sociali, da relativismo morale, da visioni errate della sessualità, da precarietà delle scelte”.
Il ricorso agli esperti, quali psicologi, psichiatri o psicanalisti, “non può che essere soltanto ausiliare” osserva ancora il prefetto vaticano “ossia utile solo in alcuni casi per dare il parere circa la diagnosi, o circa l'eventuale terapia, o il sostegno psicologico allo sviluppo delle qualità umane richieste all’esercizio del ministero”.
Ossia: “si deve ricorrere a loro solo nei casi eccezionali che presentano particolari difficoltà”. Infatti, “spetta alla Chiesa discernere la vocazione e l’idoneità dei candidati al ministero sacerdotale” e in particolare “il vescovo ha la responsabilità ultima di riconoscere e confermare la chiamata al sacerdozio”. E dunque, l’utilizzo delle competenze degli psicologi “è di integrazione, non di sostituzione, sia nel discernimento iniziale, sia nella formazione successiva”.
Ad ogni modo, a parte tutte le chiacchiere sulla logica ed indiscutibile autonomia del Vaticano in queste materie, c’è una domanda che non posso evitare di pormi: se un sacerdote, nel momento di prendere i voti, deve comunque effettuare un atto di totale rinuncia al sesso, che importanza può avere il suo orientamento sessuale? Intendo dire, perché l’abbandono dei “piaceri della carne” deve avere un valore diverso per gli eterosessuali rispetto agli omosessuali?
Mah... come gran parte degli agnostici, ammetto di avere molte lacune su questi argomenti!
GuruKonK
Fonte della notizia: “Virgilio Notizie”
Nell’immagine: il prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, cardinale Zenon Grocholewski.
Il prefetto del dicastero vaticano competente sulla disciplina dei seminari aggiunge: “Non si può ammettere al seminario un candidato che ha una tendenza omosessuale radicale. Non perché commette peccato, ma perché l’eterosessualità è la normalità, l’omosessualità è una deviazione, una ferita per poter esercitare il sacerdozio, che consiste anche nell’essere un padre spirituale e nel sapersi relazionare con gli altri”.
Il documento presentato questa mattina in Vaticano, spiega il cardinale Grocholewski, richiama “il contesto socio-culturale attuale che influisce sulla mentalità dei candidati che si presentano al Seminario, creando, in certi casi, delle ferite non ancora guarite oppure gravi e particolari difficoltà psicologiche”. Tra questi il porporato elenca “il disagio di un’emergente mentalità caratterizzata dal consumismo, da instabilità nelle relazioni familiari e sociali, da relativismo morale, da visioni errate della sessualità, da precarietà delle scelte”.
Il ricorso agli esperti, quali psicologi, psichiatri o psicanalisti, “non può che essere soltanto ausiliare” osserva ancora il prefetto vaticano “ossia utile solo in alcuni casi per dare il parere circa la diagnosi, o circa l'eventuale terapia, o il sostegno psicologico allo sviluppo delle qualità umane richieste all’esercizio del ministero”.
Ossia: “si deve ricorrere a loro solo nei casi eccezionali che presentano particolari difficoltà”. Infatti, “spetta alla Chiesa discernere la vocazione e l’idoneità dei candidati al ministero sacerdotale” e in particolare “il vescovo ha la responsabilità ultima di riconoscere e confermare la chiamata al sacerdozio”. E dunque, l’utilizzo delle competenze degli psicologi “è di integrazione, non di sostituzione, sia nel discernimento iniziale, sia nella formazione successiva”.
Ad ogni modo, a parte tutte le chiacchiere sulla logica ed indiscutibile autonomia del Vaticano in queste materie, c’è una domanda che non posso evitare di pormi: se un sacerdote, nel momento di prendere i voti, deve comunque effettuare un atto di totale rinuncia al sesso, che importanza può avere il suo orientamento sessuale? Intendo dire, perché l’abbandono dei “piaceri della carne” deve avere un valore diverso per gli eterosessuali rispetto agli omosessuali?
Mah... come gran parte degli agnostici, ammetto di avere molte lacune su questi argomenti!
GuruKonK
Fonte della notizia: “Virgilio Notizie”
Nell’immagine: il prefetto della Congregazione per l’Educazione Cattolica, cardinale Zenon Grocholewski.