giovedì 24 luglio 2008

Karadzic visto da vicino


Come di certo già saprete, il super-ricercato Radovan Karadzic è stato arrestato. Tredici anni di incredibile (e misteriosa) latitanza ed un arresto altrettanto sorprendente. Karadzic se ne viaggiava di sera, tranquillo come un operaio a fine turno, su uno degli scassati autobus di Belgrado. Versione del suo avvocato, ieri mattina, all’uscita dell’udienza preliminare che ha confermato l’identità del fermato e ne ha convalidato l’arresto, che ha rivelato che l’arresto, realmente, sarebbe avvenuto venerdì scorso alle 21:30, che il prigioniero sarebbe stato “incappucciato” per non riconoscere carcere e carcerieri.

Uno può anche scegliere la più eroica versione ufficiale della presidenza della Repubblica serba, da Boris Tadic in persona, che nella notte di ieri parla di “brillante operazione delle forze di sicurezza della Serbia democratica”. Se preferite le “spy story”, potete affidarvi alla sostanziale presa di distanze del ministero degli interni serbo che lascia intravedere lo zampino di qualche servizio segreto occidentale o di un altro ministero; oppure potete credere che a Karadzic gli inquirenti siano arrivati mentre seguivano la pista dell’altro macellaio del Balcani: il generale Ratko Mladic. Più credibile foto e racconto da parte della BBC che mostra un Karadzic barbuto, descritto come attivo medico omeopata in una clinica di Belgrado con il nome falso di Dragan Dabic. Ognuno è libero di scegliere la versione che preferisce. Quella giudiziaria verrà molto dopo, preceduta dalle convenienze politiche di chi ha deciso che Karadzic fosse arrestato proprio ora. Il mostro, fantasma sino a ieri, che riappare quando le promesse europee per la Serbia debbono produrre qualche incasso…

Molti di noi conoscono marginalmente la figura di Karadzic. Sappiamo che le sue mani sono sporche del sangue di centinaia di migliaia di innocenti. Sappiamo che ha avuto un ruolo attivo nella strategia degli stupri di massa per “sporcare” il patrimonio genetico delle future generazioni di mussulmani. Sappiamo dei campi di concentramento dove i prigionieri venivano trattati con una crudeltà degna dei “Lager” nazisti. Tuttavia sono sicuro che in molti, tra i quali mi colloco pure io, hanno un’idea superficiale della persona di Radovan Karadzic. Per questa ragione ho deciso di pubblicare un articolo scritto da un giornalista che lo ha “visto da vicino”. Spero sinceramente che lo possiate trovare interessante.


Karadzic visto da vicino
di Ennio Remondino

Nell’attesa che Karadzic sia trasferito nel carcere olandese di Scheveningen come ha annunciato il procuratore serbo, abbiamo tempo per guardarlo più da vicino. Memorie personali. Per qualsiasi giornalista che abbia vissuto il macello Bosnia spostandosi, come facevo io, tra una parte e l’altra del fronte di guerra, tra gli assediati di Sarajevo e i loro assedianti sulle montagne, Radovan Karadzic era l’interlocutore ideale. Difficile e pericoloso da avvicinare, certo, ma arrivati alla sua vista con telecamera e microfono, era l’interlocutore ideale. “For the news, mister President”, che tradotto nella lingua televisiva internazionale vuol dire, “stai corto”. Bastava indicare il numero di minuti che avevi a disposizione e l’interlocutore, col cronometro in testa, recitava le sue ragioni e le sue follie propagandistiche per il taglio da telegiornale. Intervistato ideale quell’assassino all’ingrosso, con la precisazione che mai nessun assassino incontrato in tanti anni di mestiere, somiglia davvero ad un assassino. Non Karadzic, in particolare. I brutti ceffi, i cattivi a prima vista, li aveva attorno. Le “bodyguard” cresciute sulle montagne tra Pale ed il Trebevic e, soprattutto, quella arpia della figlia Sonja. Era lei ad avere il potere di accoglienza o di cacciata, per noi giornalisti. E vi garantisco che ogni piccola goccia di potere le procurava un piacere ben visibile! Lui, Karadzic, con la sua capigliatura folta e sempre ordinata, qualche volta sorrideva perfino.

Erano le settimane della cattura dei caschi blu delle Nazioni unite, esibiti incatenati sulle stradine di Pale e poi detenuti in luoghi inavvicinabili. Quella del Tg1 era una delle poche “troupe” occidentali presenti. Tensione internazionale alle stelle, la sesta flotta Usa che si avvicinava all’Adriatico, tamburi di guerra che terrorizzavano il mondo e, noi narratori, reclusi a nostra volta nei confini stretti di quella sorta di villaggio alpino, modello svizzero, che era ed è Pale. La Sarajevo dell’assedio crudele e sanguinario ad una decina di chilometri, ed il resto del mondo lontano anni luce. Trovarsi al centro del bersaglio da cui sembra poter scaturire la terza guerra mondiale, ed avere a disposizione soltanto immagini agresti con prati verdi e chalet di montagna.

Ricordo di aver insistito con diversi “Stand Up”, la parte del reportage televisivo in cui il giornalista si mostra, di fronte al solo cartello stradale con la scritta Sarajevo bucherellato di proiettili. La sola immagine guerresca che ero riuscito a trovare. Ricordo anche di un ordine di rientro giunto da Roma. Carlo Rossella, credo fosse il direttore (quindi il governo doveva essere stato il Berlusconi 1) “Rientra subito, sta per partire l’attacco aereo americano. È la guerra”, fu l’ordine.

La crisi del 1994
La sola cosa che si vede qua sono le mucche”, la risposta, con ordine puntualmente disatteso. Noi giornalisti Rai eravamo stati i primi, ma stavano arrivando tutti gli altri, CNN compresa. Peter Arnet, pensate: il giornalista delle cronache marziane da Baghdad, le riprese notturne verdognole della prima guerra del Golfo. Chi era accampato al mitico “Hotel Olimpic”, poco più di una modesta pensione a due stelle, chi preferiva l’ospitalità di famiglie bisognose di denaro. La caccia disperata al nulla televisivo, col rombo dei caccia bombardieri USA sull’Adriatico in contrasto con le “bevute amicali” tra detenuti e detenenti di cui sapevamo.

Silenzio stampa. Nessuna dichiarazione. Karadzic irraggiungibile. Caccia quotidiana ad immagini e notizie. La piazza del mercato, al centro del villaggio, deserta come sempre, con la sua chiesetta ortodossa poco frequentata. Un gruppo di auto di prestigio, tutt’attorno, attira l’attenzione. Le facce cattive di uomini armati ci danno la conferma. In chiesa Karadzic segue il rito per il Santo che dovrebbe prendersi cura dei morti. Diffida immediata di Sonja Karadzic, cattiva come non mai, a porre domande al padre. All’uscita, ultima parte liturgica-popolare con la recita di un’invocazione. Karadzic che saluta uno ad uno i presenti, chiedendo per loro la protezione del Santo, e l’interlocutore che ripete la formuletta rituale. E quando è il mio turno recito e porgo il microfono. Karadzic, come alcuni politici italiani, non resiste e dichiara al mondo, attraverso la Rai, che i prigionieri stanno per essere liberati. I jet appontano sulle portaerei e il mondo tira un sospiro di sollievo. Il sapore di una tragica commedia.

Neppure un anno dopo, fine 1995 e dopo la pace di Dayton, Karadzic sarà il latitante numero uno pari merito con il suo lugubre generale Mladic, l’esecutore del sanguinoso macello di Srebrenica. Vita, fuga, latitanza e cattura di Karadzic da affidare alla saggezza della storia, non potendo credere oggi alle convenienze della politica o alle semplificazioni della cronaca.

Ennio Remondino


Per oggi ci fermiamo qui. Questo Post è decisamente più lungo e articolato rispetto ai miei soliti scritti, per tale ragione ringrazio di cuore tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggerlo per intero. Come sempre aspetto con impazienza i vostri commenti e le vostre riflessioni in merito.

Con affetto, GuruKonK.



Grazie a Ennio Remondino per la gentilezza e per il prezioso materiale!



Nell’immagine: la metamorfosi del “dottor” Karadzic!

lunedì 21 luglio 2008

I Jeans non sono un alibi


I jeans non sono “una cintura di castità” che impedisce i tentativi di qualcuno di poter toccare le parti intime di chi li indossa. Per questo si può configurare il reato di violenza sessuale se una persone cerca di infilare la mano nei pantaloni di un altro (ma tu guarda…). Lo si evince dalla sentenza numero 30403 della III Sezione penale della Cassazione. Il caso riguarda una ragazza di 16 anni della provincia di Padova che aveva più volte subito “atti di libidine” da parte del convivente della madre. Un’altra molestia in casa, per fortuna che in famiglia si dovrebbe poter stare tranquilli…

L’uomo (R.P. di 37 anni) era stato condannato dalla Corte di Appello di Venezia ad un anno di carcere (con pena sospesa e attenuanti riconosciute) perché più volte “con violenza aveva compiuto atti di libidine nei confronti della 16enne toccandola sul seno, sui fianchi, sul sedere e nelle parti intime, entrando con le mani sotto i pantaloni della ragazza”.

Già la Corte d’Appello di Venezia aveva confermato la sentenza del Tribunale di Padova ribadendo il fatto che la vittima, di giovane età, in quelle occasioni non fosse scappata non costituiva un fatto provocatorio (e ci mancherebbe altro!) ma rientrava nella libertà di comportamento individuale e sottolineava che l’indossare i pantaloni del tipo “jeans” non escludeva il “toccamento delle parti intime, facilmente raggiungibili senza sfilarli e comunque entrando con le mani dentro di essi”.

Le aggressioni sessuali sono ancora uno dei pochi reati in cui la vittima deve quasi dimostrare di non avere colpe e di non essere stata lei ad attirare le attenzioni dell’assalitore. Permettetemi di dire che tutto ciò è davvero molto triste.

Ma non è la prima volta che la Cassazione si occupa di jeans. Già nel ‘99 una sentenza della Suprema Corte, di segno opposto rispetto a quella di oggi, fece molto discutere. I giudici infatti annullarono con rinvio la condanna nei confronti di un uomo accusato di stupro motivando che “i jeans non possono essere sfilati nemmeno in parte se chi li indossa non da una fattiva collaborazione”.

GuruKonK



Fonte: sito web dell’agenzia stampa “ANSA



Scarica la sentenza in formato “pdf”.

sabato 19 luglio 2008

Una strage annunciata



Dopo un divieto lungo 19 anni, sta per ritornare in commercio l’avorio. Il Cites, l’organismo delle Nazioni Unite che veglia sugli scambi di fauna e flora che rischiano l’estinzione, si è riunito a Ginevra per autorizzare la vendita di oltre 100 tonnellate del materiale ricavato dalle zanne degli elefanti. L’allarme viene lanciato dagli ambientalisti: temono l’inizio di una nuova strage di dimensioni simili a quella che negli anni ‘80 portò all'abbattimento di quasi 800’000 (ottocentomila, avete letto bene) esemplari nel solo continente africano. La decisione è spinta dall’aumento esponenziale della domanda cinese. Ancora una nefasta conseguenza dell’avvento dei nuovi ricchi dagli occhi a mandorla, sostiene qualcuno.

Questo significherà un ritorno ai vecchi tempi bui con gli elefanti a rischio estinzione”, denuncia Allan Thernton, dell’Agenzia per la tutela dell'ambiente (Eia). Fu proprio l’Eia a fornire la documentazione sul rischio di estinzione degli elefanti in Africa, prove che avevano portato alla messa al bando dell’avorio. Solo tra il 1980 e il 1989 gli animali passarono da 1,3 milioni a soli 590’000 esemplari. Una vera e propria strage!

Già nel 1997, nonostante la proibizione, il Sudafrica, la Namibia, il Botswana e lo Zimbabwe, convinsero il Cites ad autorizzare il commercio delle zanne di elefanti morti per cause naturali. La battaglia fu guidata allora dal presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe (noto “galantuomo”). Due anni dopo venne così autorizzata la cessione di 50 tonnellate di avorio, ma solo ad “acquirenti selezionati”, ovvero quei Paesi in grado di dimostrare un forte impegno contro il commercio illegale di avorio. La Cina allora venne esclusa, tengo a precisare.

Lo sviluppo vertiginoso del gigante d’oriente ha aumentato la fame di oggetti di lusso. Per questa ragione (puramente basata sul profitto), è stato dato il via alla vendita di 108 tonnellate d’avorio e sarà proprio Pechino il maggiore acquirente. Infatti la diplomazia cinese è stata in grado di convincere il Cites del proprio impegno contro il traffico illegale. “La Cina ha fatto grandi passi avanti nella lotta contro il contrabbando di avorio e merita la possibilità di appagare la crescente richiesta interna di avorio”, ha dichiarato un funzionario del Cites. La cosa, inutile dirlo, non mi riempie certo di gioia.

A questo proposito l’Eia ha reso pubblico un rapporto del governo cinese che dimostra come nell’arco di 12 anni Pechino abbia “perso le tracce” di ben 121 tonnellate di avorio, una quantità equivalente alle zanne di 11'000 elefanti adulti. “Se queste nuove importazioni legali andranno avanti” sostiene Thernton “forniranno una gigantesca opportunità di copertura al traffico illegale”.

Ado ogni modo tutte le proteste e tutte le censure sembrano essere inutili. Non appena gli organi competenti avranno ratificato le decisioni del Cites, la caccia all’avorio potrà ricominciare per i prossimi 9 anni. Con buona pace degli animalisti e, naturalmente, degli stessi animali.

GuruKonK



Nell’immagine: un piccolo magazzino di zanne di elefante.

mercoledì 16 luglio 2008

Il Mystico Giudizio no. 18


Oggi desidero parlarvi di una commedia del 2004: “Without a paddle”. Una divertentissima avventura che il Guru ed io abbiamo apprezzato e promosso a pieni voti. Attori principali (bravissimi): Seth Green, Matthew Lillard e Dax Shepard. E’ la storia di 4 amici di lunga data. Inseparabili da bambini, sempre molto uniti durante l’adolescenza, le loro strade si dividono dopo la laurea. Uno diventa dottore; è un tipo insicuro, vagamente paranoico e lamenta alcune fobie (ad esempio non tiene in casa il cellophan perché teme che un giorno possa in qualche modo avvolgersi attorno al suo viso e soffocarlo…). Il secondo lavora per una grande azienda ma la sua indole lo porta a sognare le onde della California piuttosto che a concentrarsi sul lavoro; insomma, la cravatta che indossa gli sta davvero troppo stretta. Il terzo prende strade poco chiare, vagabondando in moto per il Messico. Del quarto, Billy, si dice che sia uno sciupa-femmine e che abbia vissuto ogni sorta di avventura: alcune foto lo ritraggono al fianco di Bill Clinton, oppure mentre si cimenta in qualche sport estremo.

Quello che vi ho raccontato fin qui non è altro che la sigla iniziale del film: una serie di immagini amatoriali che mostrano i quattro ragazzini intenti a giocare in giardino negli anni 70 (le classiche riprese di papà con la “Super8”). Il film vero e proprio inizia dopo una telefonata: Billy è morto. La voce giunge ai tre amici rimasti in vita, che dopo tanti anni si rincontrano dunque al funerale di Billy.

Il funerale è davvero esilarante. Come lo è buona parte del film. Ma veniamo al dunque: dopo la cerimonia funebre, i tre tornano nel giardino in cui giocavano da piccoli, si arrampicano sull’albero e entrano nella casetta che avevano costruito quale rifugio. Lì tra poster, armi giocattolo e altri ricordi d’infanzia, incappano in una vecchia scatola di metallo: “C’è dentro una bussola… e questa vecchia cartina geografica…” (iniziano a ripercorrere il passato) “Già in questa scatola mettemmo gli oggetti utili alla ricerca del tesoro di quel vecchio paracadutista che finì disperso nelle montagne dell’Oregon…”, i ricordi riaffiorano man mano… “Certo, Billy ci aveva fatto promettere che avremmo cercato quel tesoro…” … “E’ vero, ci eravamo anche punti le dita per fare un patto di sangue…”.

I tre amici si rendono conto che, alla soglia dei 30 anni, quella che gli si presenta è l’ultima occasione per vivere assieme un’avventura: affrontare la natura selvaggia dell’Oregon alla ricerca di un tesoro che forse non troveranno mai, ma che il solo fatto di cercare gli permetterà certamente di vivere una splendida vacanza insieme, in canoa, rendendo tra l’altro un grande omaggio al loro amico scomparso.

E così il film entra nel vivo e racconta la grande avventura dei tre ragazzi. C’è ritmo. C’è azione. La storia di questi giovani è ricca di momenti buffi ma anche di “action” sullo stile di “Indiana Jones” e soprattutto è ricca di umanità e valori; primo fra tutti: l’amicizia. Ma la morale non risulta mai pedante o saccente: è sempre celata dietro a una serie di situazioni e dialoghi leggeri. Non mancano i momenti scemi (immaginate i dialoghi e l’atteggiamento di tre amici che si rivedono dopo tanti anni e che partono lasciandosi alle spalle qualsiasi impegno: tre maschi soli, senza mogli o compagne, liberi quindi di non comportarsi in modo del tutto maturo) ma resta un film intelligente.

Il Mystico Giudizio: ho noleggiato il dvd 3 volte!

MysteXX



Nell’immagine: i tre protagonisti nelle foreste dell’Oregon.

lunedì 14 luglio 2008

Arrestate Al Bashir!


Il procuratore della Corte penale internazionale (CPI), Luis Moreno-Ocampo, ha chiesto che la Camera della Corte richieda un mandato d’arresto per il presidente del Sudan, Omar Hassan al Bashir, per genocidio e crimini di guerra. La richiesta verrà valutata dai giudici del tribunale dell’Aja, che non forniranno una risposta prima di sei settimane. Il procuratore ha chiesto alla Corte il mandato di arresto contro Al Bashir per scongiurare nuovi omicidi da parte della milizie arabe dei “Janjaweed” (i diavoli a cavallo, n.d.k.), ignobilmente sostenute dal governo. Per il procuratore il genocidio è ancora in corso nella regione occidentale del Paese e deve essere fermato.

Il procuratore Luis Moreno-Ocampo ha presentato delle prove che dimostrano che il presidente del Sudan, Omar Hassan Al Bashir ha commesso i crimini di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra in Darfur”, informa una nota della CPI. Le prove raccolte dal procuratore dimostrano che “il presidente del Sudan ha diretto e applicato un atroce piano finalizzato alla distruzione etnica dei gruppi Fur, Masalit e Zaghawa”, completa la nota pubblicata delle maggiori agenzie stampa.

I suoi motivi erano largamente politici. Il suo alibi è stata l’insurrezione. Il suo intento è stato il genocidio” ha spiegato Moreno-Ocampo, per il quale “le forze e gli agenti” che agivano sotto il controllo di Al Bashir hanno ucciso direttamente almeno 40.000 civili e causato la morte di un numero di persone compreso tra 150.000 e 400.000, che sono state sradicate dalle loro case e dalle loro terre.

Per cinque anni le forze armate e la milizia “Janjaweed”, sotto gli ordini di Al Bashir e dei suoi luogotenenti, hanno assalito e distrutto villaggi indifesi. Poi, secondo una strategia studiata in precedenza, attaccavano i sopravvissuti in fuga verso il deserto. Coloro che raggiungevano vivi i campi di prigionia, erano soggetti a condizioni che avevano lo scopo deliberato di distruggere loro e la loro etnia. Vi ricorda qualcosa?

Il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon; ha commentato la richiesta del procuratore Moreno-Ocampo in un’intervista concessa al quotidiano francese “Le Figaro”. Si è detto preoccupato riguardo l’incriminazione di Al Bashir perché potrebbe “portare a serie conseguenze nelle operazioni di mantenimento della pace nella regione e nel processo politico in atto. Tuttavia sono cosciente del fatto che nessuno può sottrarsi alla giustizia, soprattutto quando sono stati commessi orrendi crimini contro l’umanità!”. E ci mancherebbe altro...

Ad ogni modo, il Sudan non riconosce l’autorità del Tribunale Penale Internazionale e ha minacciato conseguenze sul processo di pace in Darfur se il presidente Al Bashir verrà incriminato. Inoltre ieri si è tenuta nella capitale Khartoum una manifestazione in favore di questo impresentabile assassino.

Da parte mia posso solo sperare che le migliaia di persone deportate, torturate e uccise dai “Diavoli a cavallo” di Omar Hassan al Bashir possano al più presto ricevere giustizia.

GuruKonK



Aderite alla campagna “Italians For Darfur”!



Nell’immagine: profughi in fuga dalla barbarie.

venerdì 11 luglio 2008

Paura nucleare


Verrà sospesa l’attività in una parte del sito nucleare francese di Tricastin (Vaucluse) dopo il riversamento accidentale di acque contenenti uranio nei fiumi circostanti avvenuto nei giorni scorsi. E’ stata l’Autorità per la sicurezza nucleare francese (ASN) a chiedere in mattinata a Socatri (società satellite del colosso energetico Areva) di sospendere l’attività del suo sito di trattamento nella centrale nucleare di Tricastin, nel sud-est della Francia, e di prendere “misure immediate di messa in sicurezza”, dopo la perdita di acqua contenente uranio.

Secondo quanto ho letto sul web, la fuoriuscita radioattiva si è verificata lunedì e le autorità hanno chiesto agli abitanti della regione di non bere acqua e di non mangiare pesce, vietando anche di bagnarsi nelle acque contaminate. Un’ispezione al sito nucleare, condotta giovedì da ispettori dell’ASN, non ha dato i risultati sperati. “La messa in sicurezza destinata ad impedire ogni ulteriore inquinamento non è completamente soddisfacente” fanno sapere i portavoce del Ministero, secondo quanto riferisce “Le Figaro”.

Prenderemo queste contromisure” ha assicurato il portavoce della Socatri “in modo di assicurare che questi pericolosi incidenti non si ripetano”. L’impianto di Tricastin è uno dei 58 impianti nucleari sul territorio francese ed è collocato a circa cinque chilometri da Avignone.

Inutile dirvi che l’episodio ha scatenato in tutta la Francia feroci polemiche. Pare che la reazione all’emergenza da parte delle aziende coinvolte sia stata lenta e negligente e c’è chi giura che l’incidente non sia una caso isolato. Infatti, i rilievi fatti sulle acque provenienti dalle falde freatiche della zona mostrano tassi di radioattività definiti “anomali e preoccupanti” da parte delle amministrazioni locali. Naturalmente, se l’uranio fosse davvero penetrato nella falda acquifera la popolazione dovrebbe essere avvisata celermente, per evitare che un’emergenza si trasformi in una tragedia.

Purtroppo, io e alcuni miei amici, abbiamo avuto modo di costatare come gli organi d’informazione italiani abbiano preferito non fornire al pubblico nessuna informazione dettagliata sull’incidente di Tricastin (questo con poche eccezioni). Forse gli interessi economici che ruotano accanto al ritorno all’energia nucleare in Italia sconsigliano di pubblicare tutto ciò che è realmente successo? E’ possibile.

La stampa francese parla di una fuga di uranio pari a ben 360 kg, citando fonti ministeriali. La smentita della Socarti non si è fatta attendere: infatti un loro portavoce parla di “soli” 75 kg di materiale radioattivo finito nell’acque. A questo punto toccherà agli ispettori dell’Autorità per la sicurezza nucleare fare chiarezza e, se necessario, comminare le doverose sanzioni.

Intanto, sempre nella giornata di ieri, un incendio ha distrutto il tetto di una turbina dell'impianto nucleare di Ringhals, in Svezia. L’intervento immediato dei servizi di sicurezza, ha permesso di circoscrivere l’emergenza e di evitare fughe di materiali pericolosi.

Per oggi mi fermo qui. Naturalmente attendo con molto interesse le vostre riflessioni e i vostri commenti sui temi trattati. Vi ringrazio di cuore per la vostra attenzione.

Un grande abbraccio!

GuruKonK



Fonte: “Le Figaro” e “L’Unità”.



Nell’immagine: una veduta aerea della centrale di Tricastin.

martedì 8 luglio 2008

G8: impegni generici


Un fragile accordo sul clima, un documento sullo stato dell’economia mondiale e sul problema dell’aumento del prezzo del petrolio e maggiori fondi per i Paesi poveri: sono tra gli esiti del secondo giorno del vertice dei G8 in corso Giappone. Particolarmente tormentato l’accordo contro i cambiamenti climatici, che potrebbe in pratica consegnare alle generazioni future il compito di combattere l’inquinamento. Dopo colloqui “no-stop” per l’intera notte, l’accordo raggiunto prevede la riduzione del 50% delle emissioni di gas serra entro il 2050, mentre è rimesso ai singoli Paesi fissare obiettivi “di medio termine”. Inoltre alcuni Paesi, come gli Stati Uniti, hanno precisato che il rispetto dell’accordo richiede che anche altri Paesi grandi inquinatori, come Cina e India, riducano le emissioni. In breve: “se non lo fanno loro, non lo faccio neppure io, tiè!

Il premier giapponese Yasuo Fukuda parla ottimisticamente di “un grande risultato” e afferma sorridendo che “c’è una visione comune sulla questione del clima”. Inoltre aggiunge che intende chiedere anche a Cina e India “di tagliare le emissioni di gas serra quando domani si uniranno ai lavori”. E’ infatti previsto che ai leader delle 8 nazioni più industrializzate si uniscano quelli di altri 15 Stati emergenti.

Alcuni Paesi poveri, come lo Sri Lanka e il Bangladesh, avevano chiesto la creazione di un fondo per combattere i cambiamenti climatici nell’Asia meridionale, che gli esperti ritengono molto vulnerabili ai conseguenti eventi naturali come le grandi inondazioni e la siccità crescente.

Il “World Wide Fund” (WWF) e altri gruppi ambientalisti definiscono “insufficiente” il termine del 2050 e “patetica” la mancanza di un miglior accordo tra i G8, che risultano essere “responsabili per il 62% dell’anidride carbonica accumulata nell’atmosfera terrestre”.

Gli 8 “grandi, in un documento comune, si dicono “fortemente preoccupati per il deciso aumento dei prezzi del greggio, che mette a rischio l’economia mondiale” e invitano i Paesi produttori “ad aumentare la capacità di produzione e raffinazione già nel breve periodo”. Purtroppo non sono state indicate le cause degli aumenti né altre soluzioni pratiche per contenerli. Un’altra occasione persa.

Contro la povertà e la fame, è stato preso l’impegno di portare gli aiuti per le popolazioni bisognose a 50 miliardi di dollari entro il 2010, destinandone la metà all’Africa. Il portavoce del G8 ha respinto le critiche di molte organizzazioni non governative, che hanno ricordato come, nel recente passato, simili impegni non sono mai stati rispettati. A questo proposito, vi ricordo che dei 70 miliardi di dollari promessi a partire dal 1998, solo il 9,8% è stato poi realmente stanziato. Insomma, tra il dire e il fare…

GuruKonK



Fonte: “TG News” e “NewsFood



Nell’immagine: una manifestazione di dissenso verso i leader del G8

lunedì 7 luglio 2008

Sono tornato!

Ciao a tutti. Come ho già comunicato a coloro che mi avevano contattato tramite e-mail, nella mia famiglia abbiamo dovuto affrontare un evento non molto piacevole. Per questo motivo non ero nello stato d’animo adatto per occuparmi del Blog. Sono addirittura stato 8 giorni senza accendere il PC, pensate un po’...

Per fortuna vivo in una famiglia molto solida e unita, per questo siamo sempre stati in grado di “parare” anche i colpi più violenti che il fato ci ha riservato.

Ad ogni modo vi posso preannunciare che a partire da domani il Blog riprenderà i suoi normali ritmi.

Ringrazio di cuore tutti quelli che si sono preoccupati per la mia assenza e mi scuso se non sono riuscito a raggiungervi tutti per avvertirvi di questa “pausa”.

Un abbraccio affettuoso a tutti voi! Mi siete mancati tantissimo!

GuruKonK