
Come di certo già saprete, il super-ricercato Radovan Karadzic è stato arrestato. Tredici anni di incredibile (e misteriosa) latitanza ed un arresto altrettanto sorprendente. Karadzic se ne viaggiava di sera, tranquillo come un operaio a fine turno, su uno degli scassati autobus di Belgrado. Versione del suo avvocato, ieri mattina, all’uscita dell’udienza preliminare che ha confermato l’identità del fermato e ne ha convalidato l’arresto, che ha rivelato che l’arresto, realmente, sarebbe avvenuto venerdì scorso alle 21:30, che il prigioniero sarebbe stato “incappucciato” per non riconoscere carcere e carcerieri.
Uno può anche scegliere la più eroica versione ufficiale della presidenza della Repubblica serba, da Boris Tadic in persona, che nella notte di ieri parla di “brillante operazione delle forze di sicurezza della Serbia democratica”. Se preferite le “spy story”, potete affidarvi alla sostanziale presa di distanze del ministero degli interni serbo che lascia intravedere lo zampino di qualche servizio segreto occidentale o di un altro ministero; oppure potete credere che a Karadzic gli inquirenti siano arrivati mentre seguivano la pista dell’altro macellaio del Balcani: il generale Ratko Mladic. Più credibile foto e racconto da parte della BBC che mostra un Karadzic barbuto, descritto come attivo medico omeopata in una clinica di Belgrado con il nome falso di Dragan Dabic. Ognuno è libero di scegliere la versione che preferisce. Quella giudiziaria verrà molto dopo, preceduta dalle convenienze politiche di chi ha deciso che Karadzic fosse arrestato proprio ora. Il mostro, fantasma sino a ieri, che riappare quando le promesse europee per la Serbia debbono produrre qualche incasso…
Molti di noi conoscono marginalmente la figura di Karadzic. Sappiamo che le sue mani sono sporche del sangue di centinaia di migliaia di innocenti. Sappiamo che ha avuto un ruolo attivo nella strategia degli stupri di massa per “sporcare” il patrimonio genetico delle future generazioni di mussulmani. Sappiamo dei campi di concentramento dove i prigionieri venivano trattati con una crudeltà degna dei “Lager” nazisti. Tuttavia sono sicuro che in molti, tra i quali mi colloco pure io, hanno un’idea superficiale della persona di Radovan Karadzic. Per questa ragione ho deciso di pubblicare un articolo scritto da un giornalista che lo ha “visto da vicino”. Spero sinceramente che lo possiate trovare interessante.
Karadzic visto da vicino
di Ennio Remondino
Nell’attesa che Karadzic sia trasferito nel carcere olandese di Scheveningen come ha annunciato il procuratore serbo, abbiamo tempo per guardarlo più da vicino. Memorie personali. Per qualsiasi giornalista che abbia vissuto il macello Bosnia spostandosi, come facevo io, tra una parte e l’altra del fronte di guerra, tra gli assediati di Sarajevo e i loro assedianti sulle montagne, Radovan Karadzic era l’interlocutore ideale. Difficile e pericoloso da avvicinare, certo, ma arrivati alla sua vista con telecamera e microfono, era l’interlocutore ideale. “For the news, mister President”, che tradotto nella lingua televisiva internazionale vuol dire, “stai corto”. Bastava indicare il numero di minuti che avevi a disposizione e l’interlocutore, col cronometro in testa, recitava le sue ragioni e le sue follie propagandistiche per il taglio da telegiornale. Intervistato ideale quell’assassino all’ingrosso, con la precisazione che mai nessun assassino incontrato in tanti anni di mestiere, somiglia davvero ad un assassino. Non Karadzic, in particolare. I brutti ceffi, i cattivi a prima vista, li aveva attorno. Le “bodyguard” cresciute sulle montagne tra Pale ed il Trebevic e, soprattutto, quella arpia della figlia Sonja. Era lei ad avere il potere di accoglienza o di cacciata, per noi giornalisti. E vi garantisco che ogni piccola goccia di potere le procurava un piacere ben visibile! Lui, Karadzic, con la sua capigliatura folta e sempre ordinata, qualche volta sorrideva perfino.
Erano le settimane della cattura dei caschi blu delle Nazioni unite, esibiti incatenati sulle stradine di Pale e poi detenuti in luoghi inavvicinabili. Quella del Tg1 era una delle poche “troupe” occidentali presenti. Tensione internazionale alle stelle, la sesta flotta Usa che si avvicinava all’Adriatico, tamburi di guerra che terrorizzavano il mondo e, noi narratori, reclusi a nostra volta nei confini stretti di quella sorta di villaggio alpino, modello svizzero, che era ed è Pale. La Sarajevo dell’assedio crudele e sanguinario ad una decina di chilometri, ed il resto del mondo lontano anni luce. Trovarsi al centro del bersaglio da cui sembra poter scaturire la terza guerra mondiale, ed avere a disposizione soltanto immagini agresti con prati verdi e chalet di montagna.
Ricordo di aver insistito con diversi “Stand Up”, la parte del reportage televisivo in cui il giornalista si mostra, di fronte al solo cartello stradale con la scritta Sarajevo bucherellato di proiettili. La sola immagine guerresca che ero riuscito a trovare. Ricordo anche di un ordine di rientro giunto da Roma. Carlo Rossella, credo fosse il direttore (quindi il governo doveva essere stato il Berlusconi 1) “Rientra subito, sta per partire l’attacco aereo americano. È la guerra”, fu l’ordine.
La crisi del 1994
“La sola cosa che si vede qua sono le mucche”, la risposta, con ordine puntualmente disatteso. Noi giornalisti Rai eravamo stati i primi, ma stavano arrivando tutti gli altri, CNN compresa. Peter Arnet, pensate: il giornalista delle cronache marziane da Baghdad, le riprese notturne verdognole della prima guerra del Golfo. Chi era accampato al mitico “Hotel Olimpic”, poco più di una modesta pensione a due stelle, chi preferiva l’ospitalità di famiglie bisognose di denaro. La caccia disperata al nulla televisivo, col rombo dei caccia bombardieri USA sull’Adriatico in contrasto con le “bevute amicali” tra detenuti e detenenti di cui sapevamo.
Silenzio stampa. Nessuna dichiarazione. Karadzic irraggiungibile. Caccia quotidiana ad immagini e notizie. La piazza del mercato, al centro del villaggio, deserta come sempre, con la sua chiesetta ortodossa poco frequentata. Un gruppo di auto di prestigio, tutt’attorno, attira l’attenzione. Le facce cattive di uomini armati ci danno la conferma. In chiesa Karadzic segue il rito per il Santo che dovrebbe prendersi cura dei morti. Diffida immediata di Sonja Karadzic, cattiva come non mai, a porre domande al padre. All’uscita, ultima parte liturgica-popolare con la recita di un’invocazione. Karadzic che saluta uno ad uno i presenti, chiedendo per loro la protezione del Santo, e l’interlocutore che ripete la formuletta rituale. E quando è il mio turno recito e porgo il microfono. Karadzic, come alcuni politici italiani, non resiste e dichiara al mondo, attraverso la Rai, che i prigionieri stanno per essere liberati. I jet appontano sulle portaerei e il mondo tira un sospiro di sollievo. Il sapore di una tragica commedia.
Neppure un anno dopo, fine 1995 e dopo la pace di Dayton, Karadzic sarà il latitante numero uno pari merito con il suo lugubre generale Mladic, l’esecutore del sanguinoso macello di Srebrenica. Vita, fuga, latitanza e cattura di Karadzic da affidare alla saggezza della storia, non potendo credere oggi alle convenienze della politica o alle semplificazioni della cronaca.
Ennio Remondino
Per oggi ci fermiamo qui. Questo Post è decisamente più lungo e articolato rispetto ai miei soliti scritti, per tale ragione ringrazio di cuore tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggerlo per intero. Come sempre aspetto con impazienza i vostri commenti e le vostre riflessioni in merito.
Con affetto, GuruKonK.
Grazie a Ennio Remondino per la gentilezza e per il prezioso materiale!
Nell’immagine: la metamorfosi del “dottor” Karadzic!
Uno può anche scegliere la più eroica versione ufficiale della presidenza della Repubblica serba, da Boris Tadic in persona, che nella notte di ieri parla di “brillante operazione delle forze di sicurezza della Serbia democratica”. Se preferite le “spy story”, potete affidarvi alla sostanziale presa di distanze del ministero degli interni serbo che lascia intravedere lo zampino di qualche servizio segreto occidentale o di un altro ministero; oppure potete credere che a Karadzic gli inquirenti siano arrivati mentre seguivano la pista dell’altro macellaio del Balcani: il generale Ratko Mladic. Più credibile foto e racconto da parte della BBC che mostra un Karadzic barbuto, descritto come attivo medico omeopata in una clinica di Belgrado con il nome falso di Dragan Dabic. Ognuno è libero di scegliere la versione che preferisce. Quella giudiziaria verrà molto dopo, preceduta dalle convenienze politiche di chi ha deciso che Karadzic fosse arrestato proprio ora. Il mostro, fantasma sino a ieri, che riappare quando le promesse europee per la Serbia debbono produrre qualche incasso…
Molti di noi conoscono marginalmente la figura di Karadzic. Sappiamo che le sue mani sono sporche del sangue di centinaia di migliaia di innocenti. Sappiamo che ha avuto un ruolo attivo nella strategia degli stupri di massa per “sporcare” il patrimonio genetico delle future generazioni di mussulmani. Sappiamo dei campi di concentramento dove i prigionieri venivano trattati con una crudeltà degna dei “Lager” nazisti. Tuttavia sono sicuro che in molti, tra i quali mi colloco pure io, hanno un’idea superficiale della persona di Radovan Karadzic. Per questa ragione ho deciso di pubblicare un articolo scritto da un giornalista che lo ha “visto da vicino”. Spero sinceramente che lo possiate trovare interessante.
Karadzic visto da vicino
di Ennio Remondino
Nell’attesa che Karadzic sia trasferito nel carcere olandese di Scheveningen come ha annunciato il procuratore serbo, abbiamo tempo per guardarlo più da vicino. Memorie personali. Per qualsiasi giornalista che abbia vissuto il macello Bosnia spostandosi, come facevo io, tra una parte e l’altra del fronte di guerra, tra gli assediati di Sarajevo e i loro assedianti sulle montagne, Radovan Karadzic era l’interlocutore ideale. Difficile e pericoloso da avvicinare, certo, ma arrivati alla sua vista con telecamera e microfono, era l’interlocutore ideale. “For the news, mister President”, che tradotto nella lingua televisiva internazionale vuol dire, “stai corto”. Bastava indicare il numero di minuti che avevi a disposizione e l’interlocutore, col cronometro in testa, recitava le sue ragioni e le sue follie propagandistiche per il taglio da telegiornale. Intervistato ideale quell’assassino all’ingrosso, con la precisazione che mai nessun assassino incontrato in tanti anni di mestiere, somiglia davvero ad un assassino. Non Karadzic, in particolare. I brutti ceffi, i cattivi a prima vista, li aveva attorno. Le “bodyguard” cresciute sulle montagne tra Pale ed il Trebevic e, soprattutto, quella arpia della figlia Sonja. Era lei ad avere il potere di accoglienza o di cacciata, per noi giornalisti. E vi garantisco che ogni piccola goccia di potere le procurava un piacere ben visibile! Lui, Karadzic, con la sua capigliatura folta e sempre ordinata, qualche volta sorrideva perfino.
Erano le settimane della cattura dei caschi blu delle Nazioni unite, esibiti incatenati sulle stradine di Pale e poi detenuti in luoghi inavvicinabili. Quella del Tg1 era una delle poche “troupe” occidentali presenti. Tensione internazionale alle stelle, la sesta flotta Usa che si avvicinava all’Adriatico, tamburi di guerra che terrorizzavano il mondo e, noi narratori, reclusi a nostra volta nei confini stretti di quella sorta di villaggio alpino, modello svizzero, che era ed è Pale. La Sarajevo dell’assedio crudele e sanguinario ad una decina di chilometri, ed il resto del mondo lontano anni luce. Trovarsi al centro del bersaglio da cui sembra poter scaturire la terza guerra mondiale, ed avere a disposizione soltanto immagini agresti con prati verdi e chalet di montagna.
Ricordo di aver insistito con diversi “Stand Up”, la parte del reportage televisivo in cui il giornalista si mostra, di fronte al solo cartello stradale con la scritta Sarajevo bucherellato di proiettili. La sola immagine guerresca che ero riuscito a trovare. Ricordo anche di un ordine di rientro giunto da Roma. Carlo Rossella, credo fosse il direttore (quindi il governo doveva essere stato il Berlusconi 1) “Rientra subito, sta per partire l’attacco aereo americano. È la guerra”, fu l’ordine.
La crisi del 1994
“La sola cosa che si vede qua sono le mucche”, la risposta, con ordine puntualmente disatteso. Noi giornalisti Rai eravamo stati i primi, ma stavano arrivando tutti gli altri, CNN compresa. Peter Arnet, pensate: il giornalista delle cronache marziane da Baghdad, le riprese notturne verdognole della prima guerra del Golfo. Chi era accampato al mitico “Hotel Olimpic”, poco più di una modesta pensione a due stelle, chi preferiva l’ospitalità di famiglie bisognose di denaro. La caccia disperata al nulla televisivo, col rombo dei caccia bombardieri USA sull’Adriatico in contrasto con le “bevute amicali” tra detenuti e detenenti di cui sapevamo.
Silenzio stampa. Nessuna dichiarazione. Karadzic irraggiungibile. Caccia quotidiana ad immagini e notizie. La piazza del mercato, al centro del villaggio, deserta come sempre, con la sua chiesetta ortodossa poco frequentata. Un gruppo di auto di prestigio, tutt’attorno, attira l’attenzione. Le facce cattive di uomini armati ci danno la conferma. In chiesa Karadzic segue il rito per il Santo che dovrebbe prendersi cura dei morti. Diffida immediata di Sonja Karadzic, cattiva come non mai, a porre domande al padre. All’uscita, ultima parte liturgica-popolare con la recita di un’invocazione. Karadzic che saluta uno ad uno i presenti, chiedendo per loro la protezione del Santo, e l’interlocutore che ripete la formuletta rituale. E quando è il mio turno recito e porgo il microfono. Karadzic, come alcuni politici italiani, non resiste e dichiara al mondo, attraverso la Rai, che i prigionieri stanno per essere liberati. I jet appontano sulle portaerei e il mondo tira un sospiro di sollievo. Il sapore di una tragica commedia.
Neppure un anno dopo, fine 1995 e dopo la pace di Dayton, Karadzic sarà il latitante numero uno pari merito con il suo lugubre generale Mladic, l’esecutore del sanguinoso macello di Srebrenica. Vita, fuga, latitanza e cattura di Karadzic da affidare alla saggezza della storia, non potendo credere oggi alle convenienze della politica o alle semplificazioni della cronaca.
Ennio Remondino
Per oggi ci fermiamo qui. Questo Post è decisamente più lungo e articolato rispetto ai miei soliti scritti, per tale ragione ringrazio di cuore tutti coloro che hanno avuto la pazienza di leggerlo per intero. Come sempre aspetto con impazienza i vostri commenti e le vostre riflessioni in merito.
Con affetto, GuruKonK.
Grazie a Ennio Remondino per la gentilezza e per il prezioso materiale!
Nell’immagine: la metamorfosi del “dottor” Karadzic!