lunedì 31 marzo 2008

Ordinarie follie (ediz. 9.08)


Dopo una decina di giorni d’attesa torna la rubrica “Ordinarie follie”. Devo ammettere che ho faticato non poco a selezionare il materiale da pubblicare. In effetti la Rete risulta piena di notizie adatte a questa rubrica, tuttavia molte di esse si sono rivelate solo delle “bufale” ben articolate. Allora… oggi parleremo di due innamorati di Baker (USA) che hanno voluto provare un’esperienza unica, che univa sesso e misticismo religioso. Poi ci trasferiremo in Germania, dove la polizia, allarmata dalla puzza di cadavere, ha fatto irruzione in un appartamento di Kaiserslautern, trovando una sgradevole sorpresa. Sempre nella terra di Goethe, un astuto camionista si è visto annullare una multa grazie all’uso “non ortodosso” del proprio cellulare. Per finire torneremo negli States, per conoscere la storia di un vero “Demolition Man”. Bando alle ciance, godiamoci le “ordinarie follie” altrui!


Sesso in chiesa

Nella contea di Baker (USA), i poliziotti locali si sono trovati a dover indagare su uno strano caso. Una coppia è stata trovata all’interno della chiesa di North Prong Cemetery, senza autorizzazione.

All’arrivo della polizia la coppia ha candidamente confessato di essere entrata per fare del sesso sull’altare. Gli agenti hanno trovato il portone aperto, mentre vestiti e biancheria intima dei due giovani erano sparsi sul pavimento della chiesa.

Crystal Rowland, 24 anni, si trovava nascosta dietro il pulpito, mentre il suo compagno Matthew Pearce, 28 anni, si era nascosto in uno spazio dietro l’edificio.

Pearce ha raccontato che lui e la Rowland erano ubriachi e che lei gli aveva chiesto di poter fare “un’esperienza spirituale e sessuale senza precedenti”.

Il capitano Camby, a capo della polizia di Baker, ha affermato: “Può risultare alquanto fastidioso che delle persone possano compiere azioni del genere in un luogo di culto”. Un’affermazione memorabile, non c’è che dire…

La coppia è stata denunciata per violazione di proprietà privata e atti osceni in luogo pubblico. Per il momento i due si trovano ancora nelle carceri della contea. Ora, però, bisogna stare molto attenti: non si sa mai che alla ragazza non venga voglia di “un’esperienza criminale e sessuale senza precedenti”…


Piedi cadaverici

I suoi piedi puzzavano talmente tanto che i vicini hanno chiamato la polizia, pensando che in casa ci fosse un cadavere. E’ successo in Germania, in un condominio di Kaiserslautern. Gli inquilini si erano insospettiti (oltre che per il terribile fetore), per le finestre chiuse da tempo e per la cassetta della posta piena di lettere. Gli agenti, giunti sul posto, hanno trovato il padrone di casa che dormiva profondamente.

E’ stato così che la polizia ha risolto il caso della puzza nauseabonda: calze e indumenti di biancheria intima sporchi e ammassati in un angolo dell'abitazione. Sul rapporto depositato in centrale, gli agenti hanno scritto che il falso allarme è stato causato dall’insopportabile puzza dei piedi dell’inquilino. Fosse capitato negli States, il protagonista di questa vicenda sarebbe potuto finire a Guantanamo per possesso di armi chimiche e batteriologiche? Forse sì…


L’orecchio gelido

Un autista tedesco è incredibilmente riuscito ad evitare una multa per aver usato il cellulare alla guida del suo camion. In che modo? Ha affermato che stava usando il cellulare per scaldarsi l’orecchio!

La corte di Hamm ha accolto la tesi difensiva dell’uomo, prendendo atto che costui stava utilizzando il cellulare caldo, visto che era in carica, per scaldarsi l’orecchio gelido.

Questo significa che l’autista in questione non ha infranto la legge che, di fatto, vieta agli automobilisti di effettuare chiamate tenendo le mani occupate durante la guida, ma che non prevede sanzioni per chi le occupa per scaldarsi le orecchie. Ridicolo, vero?

Klein (43 anni) ha detto alla corte: “Avevo mal d'orecchie e la situazione stava peggiorando, anche perché la cabina di guida non era riscaldata, così ho afferrato il cellulare che avevo in carica e me lo sono messo sull’orecchio; proprio in quel momento ho visto la pattuglia della polizia”.

La corte ha accolto le giustificazioni del signor Klein, dopo che lo stesso aveva fornito un tabulato delle chiamate provando che, nell’intervallo di tempo in cui è stato sorpreso dalla polizia, non aveva effettuato né ricevuto alcuna chiamata.

Ora i casi sono due: o questo tizio è particolarmente furbo ed è riuscito ad abbindolare un’intera corte grazie al fatto di non aver ancora effettuato la chiamata quando si è accorto della polizia, oppure stava davvero usando il cellulare per scaldarsi l’orecchio… Ragazzi, io non so proprio cosa pensare.


Demolition Man

Il 65enne Glenn Irvin Sparling, di Jackson County (Arkansas, USA), sembra non avere simpatia per gli uffici postali. Domenica è salito a bordo della sua automobile ed ha sfondato un muro del locale ufficio postale, per poi darsi alla fuga a piedi, visto che l’automobile era ormai distrutta.

Insoddisfatto, perché l’edificio era ancora in piedi, è andato a casa ed ha preso un’altra auto (niente meno che un’auto sportiva d’epoca!) per finire l’opera. Nonostante lo sceriffo lo avesse individuato e abbia tentato di inseguirlo, Sparling è comunque riuscito a schiantarsi di nuovo contro l’edificio postale.

Fortunatamente, l’edificio era vuoto al momento di questo “incidente”. Adesso i locali risultano completamente inutilizzabili e le riparazioni richiederanno varie settimane. Non è nota quale sia la causa di tanto astio nei confronti degli uffici postali. Tuttavia lo sceriffo fa sapere che l’uomo ha precedenti per danneggiamenti di edifici pubblici, anche se non con questa violenza…

Per oggi finiamo qui. Spero che abbiate apprezzato anche questa edizione di “Ordinarie follie”. Come già vi avevo comunicato, potete segnalarmi delle notizie adatte a questa rubrica tramite l’indirizzo e-mail legato al Blog.

Grazie per la vostra attenzione.

Con affetto, GuruKonK.



Nell’immagine Sylvester Stallone in “Demolition Man”

sabato 29 marzo 2008

Sangue sul ghiaccio


Ancora una volta la storia si ripete in tutta la sua crudezza e drammaticità. L’arrivo della primavera porta con sé, puntuale come ogni anno, una nuova strage di cuccioli di foca, particolarmente ricercati dall'industria delle pelli per la particolare morbidezza e qualità del loro pellame. E altrettanto puntuale arriva la mobilitazione delle associazioni animaliste di tutto il mondo, che puntano il dito contro i metodi cruenti con cui avviene l’uccisione di questi graziosi animali. Per mantenere integro il loro mantello, infatti, non vengono colpiti con un’arma da fuoco, ma uccisi sulla banchina a colpi di bastone. E, come documentato i volontari dei gruppi anti-caccia, spesso scuoiati ancora in vita direttamente sul pack.

Le quote di animali cacciabili sono stabiliti per legge dalle autorità canadesi. Quest’anno saranno 275’000 gli esemplari che potranno essere sacrificati sull’altare della moda, 5’000 in più rispetto al 2007. Una quantità comunque molto lontana dai 335’000 capi che era stato possibile abbattere due anni fa, ma il cui numero è stato poi ridotto in considerazione delle condizioni ambientali difficili, ovvero il ghiaccio troppo sottile, che rende più difficile agli animali trovare scampo.

La portavoce del commissario europeo all’ambiente Stavros Dimas, pochi giorni fa aveva annunciato che la Commissione UE sta valutando l’adozione di misure restrittive contro la strage delle foche in Canada, proprio “in considerazione dei metodi di abbattimento inumano delle foche”.

Le autorità canadesi hanno sempre respinto le accuse e giustificato il via libera agli abbattimenti con la necessità di garantire la sopravvivenza economica di un territorio, quello della zona del golfo di San Lorenzo e delle coste di Newfoundland, che proprio dalla caccia alle foche trae una parte significativa del proprio sostentamento. Tra le motivazioni addotte a sostegno della caccia c’è anche il fatto che un’eccessiva popolazione di foche riduce la disponibilità di pesce danneggiando i pescatori locali. Questi rilievi sono stati però smentiti da molti ricercatori che, proprio nei giorni scorsi, hanno presentato una serie di studi che dimostrano come l’abbattimento dei cuccioli di foca non porta nessun significativo aiuto all’ecosistema marino.

I vicini di casa del Canada, gli USA, hanno ad esempio istituito un bando ai prodotti derivanti dalla caccia alle foche già nel 1972. Un divieto totale è già in vigore in Belgio e nei Paesi Bassi. E in Europa già dal 1983 non è consentito il commercio delle pelli bianche dei cuccioli. I cacciatori, dal canto loro, saranno chiamati ques’anno ad un ulteriore passo: accertarsi che le foche siano effettivamente morte prima di procedere con lo scuoiamento (e in caso non lo siano, provvedere seduta stante). Personalmente la cosa mi sembra comunque molto cruda…

Le pelli di foca sono esportate soprattutto in Norvegia, Russia e Cina, dove il mercato delle pellicce continua ad essere fiorente. Il guadagno per i cacciatori, secondo quanto riporta l’Associated Press, è stimato in circa 50 euro per ogni esemplare consegnato. Cifre, insomma, non particolarmente elevate che tuttavia sono considerate irrinunciabili e che, soprattutto, moltiplicate per 275’000 portano ad una somma di poco inferiore ai 14 milioni di euro. Un discreto gruzzoletto, questo, a cui in Canada non vogliono rinunciare.

L’Italia già negli anni passati aveva preso posizione contro l’uccisione dei cuccioli e lo scorso dicembre il Parlamento aveva affrontato un disegno di legge “bipartisan” che propone il divieto di importazione e commercializzazione delle pelli di foca e dei loro derivati. Già approvato al Senato, avrebbe dovuto essere votato anche dalla Camera. Lo scioglimento anticipato della legislatura ha però impedito che il provvedimento diventasse legge dello stato. “Dal nuovo Parlamento ci aspettiamo l'approvazione definitiva delle nuove norme” commenta Roberto Bennati, vicepresidente della Lega antivivisezione (LAV) “Negli ultimi anni le iniziative politiche nazionali ed internazionali per fermare questa mattanza sono state numerose, anche a livello di Unione europea. Ora è il momento di realizzarle perché il massacro di questi cuccioli è inaccettabile e l’indignazione dell’opinione pubblica verso questo commercio violento è ai suoi massimi storici”.

L’Italia, in ogni caso, è stata fra i primi Paesi europei ad agire con misure temporanee in vista di una moratoria europea, a cominciare dal Decreto interministeriale del 2006 che ha introdotto una moratoria di fatto all’importazione e alla commercializzazione di pelli e derivati di foca. Il 15 marzo 2007 il Senato ha approvato una mozione che impegna il governo a promuovere il divieto di importazione e commercializzazione dei prodotti derivanti dalla caccia alle foche e standard più elevati per gli animali negli allevamenti, oltre che a garantire il rispetto della normativa in materia di tutela della biodiversità e della fauna selvatica.

Da parte mia non posso che promettervi di tornare sull’argomento e di verificare se il nuovo Parlamento italiano riporterà in vita il decreto legislativo del dicembre 2007. Ritengo fondamentale che i paesi europei siano in prima linea contro la commercializzazione delle pelli di foca.

Un abbraccio, GuruKonK.



Alcune cifre di questo immane massacro

275'000: le foche che quest’anno potranno essere uccise dai cacciatori di Terranova.

2 settimane: l’età prevalente delle foche uccise.

1998: l’anno in cui il massacro è ricominciato su vasta scala dopo 20 anni di restrizione.

4 su 5: i cacciatori che non controllano che il cucciolo sia morto prima di scuoiarlo.

35 euro: il prezzo a cui viene venduta una pelliccia di cucciolo di foca.

300 euro: il prezzo a cui vengono venduti gli organi sessuali di un cucciolo di foca come afrodisiaco sui mercati asiatici.



Nell’immagine un cucciolo di foca

giovedì 27 marzo 2008

Il mercante di morte


Una settimana fa la polizia tailandese arresta a Bangkok Viktor Bout, di nazionalità russa. Le autorità orgogliosamente affermano di aver agito sotto il mandato internazionale di arresto emesso qualche anno fa dalle Nazioni Unite e di aver sventato un tentativo di vendita un importante stock di armi al movimento guerrigliero FARC (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia). L’arresto è stato possibile grazie agli sforzi congiunti della DEA Americana e dell’Interpol di quattro paesi: Tailandia, Olanda, Romania e Danimarca.

Nato a Dushanbe, in Tajikistan, nel 1967 inizia la sua particolare attività economica nel 1992. Ex agente del KGB, Viktor Bout riesce ad accedere agli arsenali dell’ex Unione Sovietica e di altri paesi dell’est europeo, grazie ai suoi ottimi contatti con le alte sfere del esercito russo.

In brevissimo tempo organizza una complicata rete internazionale per la vendita illegale di armi, costruendosi un impero economico. Nei primi tre anni di attività (dal 1992 al 1995) fornisce armi a diverse milizie afgane (compresi i Talebani) per un valore di 50 milioni di dollari americani. Dopo di che si orienta sul classico mercato africano ottenendo ottimi risultati. Nel primo biennio di attività (1997 – 1998), riesce a piazzare armi per un valore di 14 milioni di dollari.

Viktor Bout concentrerà le sue attività nel continente africano fino al 2003 per poi rivolgersi al florido mercato offerto dalla guerra in Iraq. Il suo catalogo è completo. È in grado di offrire una vasta gamma di armi e munizioni, dal classico AK-47 di fabbricazione sovietica o cinese a sofisticati sistemi missilistici terra aria ed elicotteri da combattimento russi MI-24.

Parallelamente costruisce un impero economico legale nel settore dell’aviazione civile arrivando ad avere una flotta di 60 aeroplani per il trasporto di persone e merci registrati sotto una dozzina di compagnie internazionali ed impiegando più di 300 persone.

La sua fama internazionale arriva fino ad Hollywood che gli dedica un film: “Lord of War” interpretato da Nicholas Cage nel ruolo di un trafficante di armi russo Yuri Orlov. Il giornalista Douglas Farah scrive un bestseller sulla vita di Viktor Bout intitolato: “Merchant of Deaht: money, guns, planes and the man who make war possible” (Il Mercante della morte: soldi, armi, aerei e l’uomo che rende possibile la guerra, n.d.k.).

Pensare che il macabro successo di Viktor Bout sia stato possibile solo grazie alla complicità di degenerati e corrotti generali russi è estremamente riduttivo. Se si analizzano attentamente le sue attività nel continente africano si scopre un filo indissolubile tra il mercante della morte e le mire espansionistiche degli Stati Uniti per il controllo delle materie prime nel continente, causa di orrendi conflitti come quelli del Congo, Liberia e Sierra Leone.

Nella Repubblica Democratica del Congo (l’ex Zaire) Viktor Bout diventa il fornitore ufficiale del MLC (Movimento di Liberazione del Congo) guidato dal “Signore della guerra” Jean Pierre Bemba e sostenuto dall’Uganda. Visto che si trova già nella zona, diventa anche il fornitore principale del RCD (Rassemblamento Congolese per la Democrazia) guidato da Wamba Dia Wamba e sostenuto dal Rwanda.

Questi due movimenti imperverseranno nel Nord Kivu e Sud Kivu dal 1997 al 2004, in supporto all’occupazione militare ugandese e rwandese di tutto l’est del Congo. Durante questo periodo (ricordato tra i più tragici della storia del Congo) i due movimenti furono responsabili di atrocità inaudite contro la popolazione civile, causando decine di migliaia di morti. Il MLC di Bemba arriverà addirittura a praticare il cannibalismo e lo stupro di massa come strumenti per terrorizzare la popolazione!

Viktor Bout, associatosi ad un cittadino keniota di origine asiatica, chiamato Sanjivan Ruprah, accede al mercato delle armi in Sierra Leone e Liberia, alimentando militarmente in Sierra Leone la sanguinaria guerriglia del RUF (Fronte Rivoluzionario Unito) e l’ex presidente liberiano Charles Taylor attualmente sotto processo presso il Tribunale Internazionale per i Crimini contro l’Umanità.

Tra i clienti africani di Viktor Bout vi sono soprattutto gli stati satellite americani: Uganda, Rwanda, Kenya ed Etiopia, utilizzati direttamente o indirettamente dall’amministrazione Clinton e successivamente da quella di Bush, come “war dog” (mastini di guerra) per consolidare l’espansione americana in Africa basata sulla tattica di destabilizzazione e guerre civili.

Viktor Bout ha fornito all’Uganda vari elicotteri russi MI-24. Oltre a questi preziosi elicotteri, che permettono all’esercito ugandese di applicare la tattica tedesca della guerra lampo, ha fornito un immenso arsenale di armi leggere e munizioni impiegate dall’Uganda durante l’invasione dell’est del Congo.

Dalla metà degli anni ’90 Viktor Bout equipaggia la polizia del Kenya di AK-47 di fabbricazione cinese, sostituendo il precedente equipaggiamento composto dai fucili automatici G3 e dagli UZI israeliani. La sua capacità di comprendere le perverse dinamiche dei politici africani gli permetterà di estendere la vendita dei AK-47 anche alle innumerevoli bande criminali che operano nel paese, utilizzate dai politici kenioti (sia del governo che dell’opposizione) per rafforzare i loro potere e i loro privilegi. La più famosa di queste sanguinarie bande armate è nota sotto il nome di Mungiki.

Grazie agli AK-47 del “Mercante di Morte” queste bande armate hanno ucciso più di 1.900 civili nei recenti scontri post elettorali, dove il Kenya ha vissuto la violenta contrapposizione tra il presidente Kibaki (di etnia Kikuyo) e il candidato Odinga (di etnia Luo). Accusandosi reciprocamente di frode elettorale, i due contendenti hanno utilizzato le bande armate, prima tra tutte proprio i Mungiki, nel tentativo di far scattare la scintilla dello scontro tribale per assicurarsi il potere. Solo grazie alla opposizione civile di entrambe queste due etnie (maggioritarie nel paese) che hanno rifiutato la logica dell’odio etnico, i due contendenti non sono riusciti a perpetuare l’orrendo crimine che riporta alla memoria il genocidio del 1994 in Rwanda e sono stati costretti ad accettare un seppur fragile e provvisorio compromesso di “cogestione” del paese.

Viktor Bout, oltre alla vendita di armi, si è impegnato anche nel saccheggio delle risorse minerarie del Congo durante l’occupazione ugandese e rwandese dell’est del paese dal 1997 al 2004.

Attraverso due compagnie aree (la Bukavu Aviation Tranport e la Air Cess) e una società mineraria (la Centrafrican and Great Lakes Business Company) Viktor Bout assume durante il periodo di occupazione un importante ruolo di intermediario nel saccheggio delle ricchezze dell’est del Congo: coltan, oro, diamanti e altri minerali preziosi. I beneficiari diretti di questo saccheggio sono l’Uganda, il Rwanda e soprattutto gli Stati Uniti e il Canada.

Le sue compagnie aeree nel Kivu sono state addirittura utilizzate per il trasporto di persone e merci da varie Agenzie Umanitarie dell’ONU, anche dopo che le Nazioni Unite avevano spiccato contro di lui un mandato d’arresto internazionale per traffico illecito di armi.

Recentemente Viktor Bout ha fondato nel Medio Oriente un’altra compagnia aerea, la Air Bus, diventando dal 2003 un “contractor” ufficiale del Pentagono incaricato del trasporto di forniture militari USA in Iraq.

L’arresto di Viktor Bout rischia di creare forti imbarazzi a molte persone che detengono il potere in Africa, ed anche ad alcuni membri del Congresso Americano e dei vertici delle Nazioni Unite. Il suo processo rischia di rivelare intrigate complesse e sotterranee reti tra questo “mercante di morte”, la Casa Bianca e il Pentagono.

Nonostante le prove e i pesanti capi di accusa che gravano su Viktor Bout, il suo recente arresto non sembra ispirare fiducia tra gli attivisti internazionali dei diritti umani, convinti che goda di enormi protezioni ad alto livello che gli permetteranno di farla franca.

Questa convinzione è legata al fatto che il suo traffico illegale di armi ha stranamente coinciso con gli obiettivi strategici degli USA in Africa ed in medio oriente.

Il rischio che Viktor Bout possa trovare qualche scappatoia sembra essere reale. Personalmente ritengo che molti personaggi di primo piano della politica occidentale abbiamo il cosiddetto “scheletro nell’armadio” da far sparire al più presto. In una simile situazione non mi sorprenderebbe se questo scomodo personaggio finisca per essere “invitato al suicidio”…

Non meravigliamoci, quindi, se dovesse calare il silenzio su questo immondo criminale. Inoltre qualcuno dovrà pur fare il lavoro sporco perché, come diceva il grande Alberto Sordi in un suo famoso film: “Finchè c’è guerra c’è speranza”...

Grazie per l’attenzione e a domani per un nuovo Post.

Con affetto, GuruKonK.




Fonti:
- Magazine di informazione “
Grandi Laghi East African
-
Disinformazione: oltre la verità ufficiale


Nell'immagine un primo piano di Viktor Bout.

mercoledì 26 marzo 2008

Il Mystico Giudizio no. 10


Un saluto a tutti. “Il Mystico Giudizio” boccia ma racconta “Catacombs, il regno dei morti”, un “horror movie” che non riesce a spaventare, non riesce ad inquietare, ma sa fare ridere forse più di Gianni e Pinotto… Un filmazzo! Né più né meno. Degno però di una recensione sul Blog, proprio per il fatto che in alcune occasioni ci ha fatto ridere, al Guru e a me! Gradevolmente imbarazzanti certi difetti in questo film horror che in definitiva sollecita il buon umore!

L’idea iniziale è buona. La paura del buio, i morti, chilometri di cunicoli rivestiti di teschi e ossa sotto il cuore di Parigi: le catacombe, dove uno sbarbatello in stile “neo-Jim-Morrison” organizza rave abusivi di grande impatto scenico. A Parigi vive la sorella della protagonista, che le scrive una cartolina: “Vieni qui a trascorrere qualche giorno; la tua vita cambierà”. Questa, una giovane donna molto fragile a livello emotivo per una serie di problemi personali, prende l’aereo e dagli Stati Uniti vola a Parigi. All’aeroporto francese vive una prima situazione fuori dalle cozze con un cane anti-droga un po’ bizzoso.

Dove iniziano le risate? Beh, quasi subito. Con la perquisizione all’aeroporto vi è un primo assaggio. La comicità di questo “inquietante” horror inizia ad emergere in modo più definito con l’introduzione dei protagonisti… che si prendono troppo sul serio (porca vacca!). Come dare la colpa agli attori? Così sono stati scritti dagli autori del film; scritti per sembrare giovani speciali, diversi dagli altri perché più sfacciati, coraggiosi, edonisti, filosofi, vivi. Insomma, sballati ma in qualche modo saggi (porca vacca!). Si potrebbe pensare che è voluto: si fornisce un certo quadro dei protagonisti all’inizio del film per poi smontarlo man mano… Ma questo cambiamento avviene in modo talmente sfuocato, sfiorato, poco elaborato che si è portati a pensare che si sia intrufolato nella trama senza che gli autori ne avessero piena consapevolezza.

In ogni caso questi giovani risultano un po’ antipatici, sin dall’inizio, a naso. Il più ganzo della compagnia, l’organizzatore dei rave, sarebbe da prendere a cazzotti un giorno intero; così, tanto per il gusto di farlo. Non solo lui, tutti si pongono in modo borioso e ridondante; lo sono con lo sguardo e nel modo in cui dicono le cose (delle gran str…ate, perlopiù). Questo li rende vagamente fastidiosi. L’unica eccezione è la ragazza giunta dagli States, ma lei è in pieno contrasto; è l’esatto opposto: timida, spaventata, insicura. Potrebbe crollare in lacrime da un momento all’altro e se per questa sua sofferenza c’è un motivo, a noi non è dato saperlo (anche qui, complimenti agli autori, n.d.k.).

Sorvoliamo sulla trama e sul finale. Diciamo solo che il film si svolge nei cunicoli delle catacombe, dove forse vivono i fantasmi e forse no; forse ci vive anche l’Anticristo ma forse no.

Alcune chicche (solo 2, altrimenti non la finiamo più):

1) in una scena, il ragazzo che organizza i rave, in una saletta privata porge un calice alla protagonista e dice: “Questo non è alcolico, è assenzio”.

2) i titoli in sovrimpressione all’inizio del film spiegano che le catacombe di Parigi risalgono a 2 secoli fa; in un’intervista negli extra del DVD l’attrice protagonista dice che quelle catacombe “risalgono a migliaia e migliaia di anni fa”.

Vabbé… non commentiamo.

Il Mystico Giudizio: non comprate questo film ma guardatelo pure, con un sorriso beffardo, se vi capita.

Grazie per l'attenzione e alla prossima edizione de “Il Mystico Giudizio”.


A presto, MysteXX.



Postfazione

Come tutti ben sapete non è mia abitudine “intromettermi” nelle recensioni del nostro grande MysteXX, e anche oggi non ho intenzione di farlo. Intervengo unicamente per un breve chiarimento storico.

Le catacombe parigine, che fanno da sfondo alle vicende dei protagonisti di questo film, esistono realmente. Non molti sanno che, a una media di 30 metri di profondità, il sottosuolo di Parigi è un intricato labirinto di gallerie lunghe centinaia di chilometri. Si tratta di antiche cave di tufo già note in epoca romana.

Nella seconda metà del 18.mo secolo, la città si trovò a corto di spazi adatti alla sepoltura dei cadaveri. A quanto pare le salme venivano ammucchiate una sull’altra in attesa di trovare una soluzione confacente. Nel frattempo le condizioni igieniche e sanitarie (dovute alla decomposizione dei corpi) cominciavano ad essere drammatiche. Vi ricordo che a quei tempi la cremazione dei cadaveri era severamente proibita dal Vaticano, per cui l’eventualità di bruciare le salme non appariva assolutamente praticabile.

Le autorità cittadine trovarono una soluzione interessante. Infatti ordinarono di riesumare i corpi già seppelliti in tutti i cimiteri cittadini, e di utilizzare le antiche cave di tufo come catacombe. I lavori procedettero a pieno regime per molti mesi. Venne chiesta la collaborazione di ingegneri e architetti per la gestione della macabra “materia prima” e per evitare drammatici crolli dei cunicoli delle antiche miniere. Lunghi muri furono costruiti accatastando abilmente le ossa umane con rocce trovate sul posto.

Alla fine dei lavori, secondo stime ufficiali, furono portati nelle cave più di 6,5 milioni di cadaveri, trasformando così il sottosuolo della romantica Parigi nella più grande fossa comune della storia.

A domani per un nuovo Post.

Un abbraccio, GuruKonK.



Nell'immagine un particolare delle catacombe di Parigi.

martedì 25 marzo 2008

Cosa bolle in Rete? Ed. 10/08


Ciao a tutti gli amici del Blog. Come qualcuno mi ha fatto notare per e-mail (grazie mille Jack!) è da un po’ di tempo che non pubblico la rubrica “Cosa bolle in Rete?”. Non c’è un vero e proprio motivo alla base di questa mia “mancanza”, semplicemente non avevo la giusta ispirazione. Comunque oggi ho deciso di correre ai ripari e di dedicare il Blog a quella che è stata la primissima rubrica da me creata (verificate in archivio). Naturalmente rimango aperto ad ogni vostro consiglio e ad ogni vostra richiesta, basta che mi contattiate tramite il mio indirizzo e-mail. Ma bando alle ciance, ecco a voi la decima edizione dell’anno di “Cosa bolle in Rete?”.

Non capita solo ai personaggi pubblici, ai politici, alle “starlette”, agli attori o ai cantanti di ritrovarsi esposti al pubblico ludibrio on-line. In Rete, dove tutti possono dire di tutto perché ciascuno è virtualmente libero di esprimere le proprie opinioni, succede non di rado di ritrovare il proprio nome connesso ad aspetti negativi, oppure sottoposto ad attacchi volgari, oppure ancora invischiato in storie tanto torbide quanto assurde, diffamato o oggetto di maldicenze. Senza che per altro, gli autori di questi attacchi del tutto gratuiti, possano essere in qualche modo perseguiti. Perché in fondo giocano sporco al limite del consentito, nascondendosi dietro l'anonimato.

Certi attacchi possono però fare male e danneggiare il malcapitato, il quale può certo denunciare il misfatto, nella speranza che si riesca a individuarne l'autore. È però ovvio che si tratta di una impresa complessa visto che ogni giorno vengono postati mediamente 1,6 miliardi di messaggi di difficile tracciamento.

Le opportunità di agire indisturbato a danno degli altri sono tante, anche grazie a siti preposti alla protezione dell'anonimato tipo “Anonymizer”.

Dunque, che fare? Ricorrere ai difensori della propria reputazione on-line che hanno cominciato a diffondersi in Rete. Si tratta di siti che, dietro un compenso, si occupano di “ripulire” l'immagine deturpata da attacchi denigratori, più o meno fondati. Insomma, sono una sorta di “lavanderie on-line” con il compito di spazzare via dalla Rete tutto il materiale irritante e dannoso per la propria immagine.

I link della settimana: i protettori della reputazione

Tiger Two
Quello che fanno siti come “Tiger Two” non è tanto cancellare tutti gli angoli del Web, dove si ritiene di essere diffamati oppure protagonisti di fotografie compromettenti, insinuazioni fastidiose sulla propria vita privata o professionale: sarebbe semplicemente impossibile. Quello che fanno le “lavanderie della reputazione” è moltiplicare a dismisura il numero dei cosiddetti “link amici”, ossia quelli da cui emerge un profilo edificante e positivo.
Home Page di Tiger Two

Reputation Defender
Questo sito rappresenta uno dei casi più eclatanti delle cosiddette “lavanderie on-line”. Infatti, “Reputation Defender” (ovvero il difensore della reputazione) è stata una delle prime iniziative su larga scala che si proponevano di offrire aiuto a chi si sentiva offeso o calunniato sul web.
Accesso al difensore della reputazione

Ripuliti e contenti
Riflessione sugli “spazzini” della Rete e in particolare sul loro capostipite, il sito di “Reputation Defender” di cui ho parlato sopra. Qui si spiega il processo attraverso cui si ottiene la “ripulitura della propria reputazione” messa a repentaglio da fotografie equivoche e spesso frutto di fotomontaggi, messaggi infamanti lasciati in forma anonima all'interno di forum, messaggi sospetti risalenti ad anni fa ma che potrebbero danneggiare la propria immagine attuale...
Spiegazioni sul metodo di pulizia on-line (in francese)

Una nuova reputazione
Esempio concreto di come uno di questi siti sia intervenuto su richiesta di un certo Ronnie Segev che, in passato, aveva ideato alcune truffe, a suo dire mai andate a segno, e che ora desiderava cancellare queste “macchie” di cui era rimasta invece traccia in tanti siti Web.
Il caso di Ronnie Segev

Vittime della diffamazione
Il sito ideale per tutte le persone, oggetto di diffamazione, che preferiscono agire e protestare contro coloro che utilizzano lo strumento della ingiuria in Internet pensando di poter agire indisturbati e impuniti. Questo sito aiuta a far valere i propri diritti e a rivalersi su coloro che “giocano sporco” fintanto che non decidono di rimuovere il materiale offensivo in questione.
Home Page di “Defamation Action”

Anche oggi vi ringrazio di cuore per l’attenzione che mi avete dedicato. Come sempre vi do appuntamento a domani per un nuovo post.

Con affetto, GuruKonK.



Nell'immagine un logo di “Reputation Defender”

lunedì 24 marzo 2008

Un prezzo troppo alto



Sono oramai più di 4’000, secondo l’agenzia “Associated Press”, i soldati americani morti in Iraq dall’inizio della guerra (cinque anni fa) dopo l’attentato che domenica sera ha ucciso quattro militari statunitensi di pattuglia a Baghdad. Il Pentagono non conferma la cifra, seguendo una politica di basso profilo per quanto riguarda le vittime del conflitto. I morti dichiarati ufficialmente al 24 marzo sono, secondo alcune ONG, 4’002 ai quali tuttavia debbono aggiungersi 175 militari britannici, 133 di altre nazioni e oltre mille civili, “contractors” di varie nazionalità. I morti italiani sono stati 33, il numero più alto dopo Stati Uniti e Gran Bretagna.

L’attacco, con un cosiddetto IED (Improvised Explosive Device) in pratica una bomba rudimentale, è avvenuto verso le 22 (le 20 CET) a chiudere una giornata sanguinosa che aveva già fatto almeno 51 vittime in varie parti del Paese.

Quelli americani in Iraq sono morti invisibili o quasi, visto che le operazioni di rimpatrio delle salme avvengono quasi sempre con grandissima discrezione. Fino a pochi mesi or sono era addirittura proibito fotografare le salme avvolte nella bandiera a stelle e strisce all’interno degli aerei da trasporto militare. Ora si può (i “mass media” l’hanno spuntata grazie al primo emendamento della costituzione USA, quello sulla libertà di espressione) ma le foto rimangono molto rare alla base militare di Dover, l'amena capitale del Delaware, dove le salme continuano a giungere sul suolo americano dall'Iraq.

È vero che articoli sui militari morti in Iraq continuano a riempire i giornali americani. Ma si tratta soprattutto delle pagine locali dei grandi quotidiani e di quelle dei media regionali: ne parlano quando la vittima viveva (o era nata) nella città alla quale le pagine si riferiscono.

In base alle ultime cifre pubblicate i militari USA morti quest’anno in Iraq sono 96, molti meno rispetto agli anni precedenti, visto che su base annua, se la progressione rimane quella attuale, si sarà al di sotto delle 400 vittime. L'anno più letale è stato il 2007, con 901 morti tra i militari americani. Non era andata molto meglio nel 2004, nel 2005 e nel 2006. Le vittime USA erano state rispettivamente 849, 846 e 822.

Ma ai morti si debbono aggiungere i feriti: ufficialmente sono circa 30’000, ma fonti non ufficiali arrivano a stimarne anche 100’000. Ricordiamoci che almeno un terzo dei feriti resta mutilato o invalido a vita. Pesantissima, tra i reduci, l’incidenza delle turbe mentali che sfociano spesso in violenza, contro se stessi o conto gli altri. Ufficialmente i suicidi nei 5 anni di guerra sono stati 151, ma si calcola che siano ben oltre il migliaio quelli tra i reduci rientrati in patria.

Decisamente molto più numerose di quelle militari americane sono le vittime civili irachene, spesso invisibili anch’esse. Sono soprattutto morti dimenticati, visto che ben pochi hanno voluto tenere questo macabro conteggio. Le stime più prudenti parlano di 82'000 morti diretti (quindi implicati direttamente negli attacchi americani o negli attentati) secondo i calcoli del sito “Iraq Body Count”.

Tuttavia alcune agenzie delle Nazioni Unite hanno creato un modello matematico in grado di “simulare” il numero totale di vittime civili, quindi considerando i decessi causati dalle conseguenze sia dirette che indirette della guerra. Il risultato mi ha raggelato il sangue: 1'000'000 di morti in 5 anni!

Purtroppo sembra proprio trattarsi di vittime di “serie B”, che difficilmente troveranno mai spazio sui tradizionali “mass media”. Anche questa riflessione mi ha molto rattristato.

In Iraq vi sono diverse associazione internazionali che operano sul territorio nel tentativo di soccorrere i civili colpiti dal conflitto e di fornire loro adeguate cure mediche. Tra queste vorrei citare “Emergency” del dottor Gino Strada e “Medici senza frontiere” (Premio Nobel per la pace 1999).

Proprio di questa ultima associazione, vi voglio raccontare come riesca, nonostante enormi difficoltà, a portare avanti la propria missione in un Paese martoriato dalla guerra e dall’odio.

Sebbene “Medici Senza Frontiere” abbia una vasta esperienza nel campo dell’assistenza, non solo sanitaria, nelle zone di conflitto, l'Iraq è attualmente un ambiente di lavoro estremamente difficile ed impegnativo per l’organizzazione.

A causa delle precarie condizioni di sicurezza e dei continui atti di violenza, per le organizzazioni umanitarie internazionali e indipendenti l’accesso diretto alle vittime del conflitto nelle principali aree abitate dalla popolazione civile resta molto limitato.

Finora “Medici Senza Frontiere” non ha potuto mettere in atto attività di soccorso né gestire progetti medici diretti con una presenza stabile del proprio personale nelle aree colpite dalle violenze. I rischi collegati alle attività umanitarie sono a carico quasi esclusivo dei cittadini iracheni.

In Iraq il problema operativo dell’accesso alle vittime dirette delle violenze è ben noto. Il sistema sanitario nazionale non è in grado di far fronte all’altissimo numero di vittime causate dalle continue violenze. Ciò è dovuto ad una serie di ragioni: la mancanza di risorse, la fuga del personale professionale, preso di mira sia dai gruppi armati che dalle forze armate, la mancanza di rispetto per le strutture mediche da parte delle parti in conflitto, il numero esorbitante di vittime.

Per riuscire a salvare vite umane e fornire alle vittime cure mediche e chirurgiche essenziali è necessario raggiungerle in tempi brevi e arrivare il più vicino possibile al luogo in cui si verificano le violenze. Ma sono proprio le aree interessate dalle violenze ad essere le più insicure sia per i pazienti che per il personale medico.

Medici Senza Frontiere”, così come altre associazione umanitarie, ha bisogno di aiuto. Non mi riferisco solo al sostegno finanziario, anch’esso indispensabile, ma alla necessità di fare pressione verso la comunità internazione affinché venga permesso al personale medico di spostarsi attraverso il Paese in maggiore sicurezza.

Oggi purtroppo le forze internazionali di occupazione non collaborano minimamente né con “Medici Senza Frontiere”, né con “Emergency”, né con altre organizzazioni non governative. Proprio l’associazione di Gino Strada si è vista distruggere due indispensabili veicoli di pronto soccorso dal cosiddetto “fuoco amico” della coalizione guidata dagli USA.

In conclusione, ci sono molti modi per sostenere l’attività di queste persone coraggiose, che mettono a rischio la loro incolumità fisica per aiutare le vittime innocenti di tutti i conflitti, non solo quello iracheno. Nella spalla destra di questo Blog troverete un box dal titolo “K-Links per un mondo migliore”. Tramite i collegamenti proposti accederete ai siti web di alcune associazioni che lavorano per dare un sostegno concreto a coloro che difficilmente potrebbero difendersi da soli.

Vi ringrazio di cuore per l’affetto che continuate a dimostrare per il Blog. Da parte mia vi posso solo dire che è un piacere e un privilegio scrivere dei Post per delle persone come voi.

Un abbraccio, GuruKonK.



Nell’immagine il logo dell'associazione “Emergency” di Gino Strada.

sabato 22 marzo 2008

L'infanzia violata


Purtroppo i temi della pedofilia e della violenza sui minori sono tornati in modo dirompente a scuotere la cronaca. Nel piccolo delle mie (assai limitate) possibilità, vorrei utilizzare questo Blog per alimentare il dibattito su questi argomenti. Per questa ragione, il Post di oggi sarà dedicato a tre episodi che, tra i fatti del giorno, hanno attirato la mia attenzione. In Emilia Romagna un insegnante 33enne è stato arrestato per violenza sessuale su alcune sue alunne. Nel Salento, precisamente nel comune di Nardò, un uomo è stato arrestato per aver violentato per anni la figlia. Per concludere parleremo di un’indagine della procura di Catania sulla pedofilia on-line, che ha portato al sequestro di una notevole quantità di odioso materiale pedo-pornografico.


Giochi proibiti

Arrestato un insegnante di 33 anni per violenza sessuale su alcune studentesse di età inferiore a 14 anni e per detenzione di materiale pedo-pornografico. Secondo le indagini condotte dai militari di Correggio (in provincia di Reggio Emilia) l’uomo avrebbe costretto durante le lezioni alcune bambine a subire e compiere atti sessuali, con il pretesto di un gioco.

Giuseppe La Monica, per tutti “Pino”, nato a Vico Equense (Napoli) risiede con i genitori alle porte di Reggio Emilia, dove risulta essere piuttosto conosciuto. Celibe e incensurato, si occupava di un progetto di teatro: è anche amministratore di un’associazione culturale che opera nelle scuole della zona..

A casa sua sono state sequestrate foto di bimbe, scaricate da internet, anch'esse ritratte durante atti di tipo sessuale. Il giovane aveva anche un Blog che è stato oscurato. Online si definisce così: “Attore, regista, animatore di laboratori teatrali per la scuola, esperto di problematiche sociali e ambientali, integrazione, disagio, mediatore culturale, coordinatore del Consiglio circoscrizionale dei Ragazzi del Comune di Reggio”.

I militari hanno raccolto le denunce sugli abusi di cui erano rimaste vittime cinque scolare fra gli 11 e i 13 anni di età. Già in febbraio la Procura reggiana aveva ricevuto una segnalazione a carico del giovane su presunti abusi, sempre su delle ragazzine, in un’altra località della provincia. Le piccole vittime dell’insegnante sono state ascoltate dagli investigatori in forma protetta.


Era mio padre

Un uomo di 44 anni è stato arrestato dai carabinieri a Nardò con l’accusa di avere ripetutamente violentato la figlia, che ora ha 18 anni, da quando la ragazza aveva 10 anni. Secondo l’accusa, la moglie dell'uomo, che è stata denunciata, era consapevole di quanto avveniva in casa ma non sarebbe mai intervenuta “per non turbare l’armonia della famiglia”. L’uomo è accusato di violenza sessuale continuata e aggravata dal vincolo di parentela, maltrattamenti in famiglia, minacce, percosse, lesioni personali e inosservanza dell’obbligo dell’istruzione elementare dei minori.

L'indagine, durata sei mesi, ha consentito di accertare che l’uomo aveva instaurato in casa un clima di violenza e di terrore assoggettando fisicamente e psicologicamente tutti i familiari (la ragazza ha anche un fratellino minore) che per anni non avevano fatto trapelare nulla. Al momento dell’arresto, disposto dal GIP presso il Tribunale di Lecce, Ercole Aprile, nell’abitazione dell’uomo i militari hanno anche sequestrato filmati pedo-pornografici. La madre della ragazza è stata denunciata per concorso in violenza sessuale aggravata e continuata.


Mostri nella Rete

Una nuova indagine della procura di Catania sulla pedofilia on-line ha portato a decine di perquisizioni in diverse città d’Italia e al sequestro di materiale informatico, videocassette e testi. Le perquisizioni sono state eseguite dalla polizia postale e delle comunicazioni in 21 città nei confronti di 27 persone indagate per divulgazione di materiale pedo-pornografico su Internet.

L’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto di Catania Giuseppe Gennaro e dal sostituto Giancarlo Cascino, ha riguardato l’acquisizione e la diffusione sul web di video di pornografia infantile, in particolare lo scambio di immagini tramite un nuovo programma “peer-to-peer”.

Le indagini della polizia postale di Catania si sono avvalse di attività sotto copertura, autorizzata dalla procura, finalizzata in maniera preminente al rinvenimento di filmati pedo-pornografici, con il coordinamento del Centro Nazionale di Contrasto della Pedo-pornografia On-line (Cncpo) di Roma.

Le città interessate dalle perquisizioni sono: Catania, Palermo, Messina, Mantova, Bolzano, Savona, Milano, Roma, Latina, Nuoro, Rimini, Lecce, Salerno, Venezia, Livorno, Arezzo, Pordenone, Bologna, Vercelli, Modena e Verona. Quella in corso è l’ennesima operazione coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Gennaro, confermata una consolidata esperienza investigativa della procura distrettuale di Catania in questo delicato settore d'indagine.


Come avrete di certo notato, mi sono limitato alla mera cronaca dei fatti. Naturalmente su questi argomenti le cose da dire sarebbero davvero molte, ma ritengo che in questo caso il mio ruolo sia solo quello di stimolare le vostre riflessioni. Per questo motivo l’area preposta ai commenti è, come sempre, a vostra completa disposizione.

Da parte mia non mi resta altro da fare se non augurarvi una buona Pasqua.

Un abbraccio, GuruKonK.

venerdì 21 marzo 2008

Chantal non soffre più


Ciao a tutti gli amici del Blog. Mi scuso con voi se ieri non ho pubblicato nessun Post, purtroppo la tecnologia mi si è rivoltata contro mettendomi nell’impossibilità di collegarmi ad Internet. Oggi vorrei affrontare un argomento particolarmente delicato, che costringerà tutti noi ad una profonda riflessione etica e morale: la cosiddetta “buona morte”. Negli scorsi giorni il tema dell’eutanasia ha guadagnato l’attenzione dei “mass media” per la tragedia di Chantal Sébire. Questa donna francese da molti anni soffriva di una grave forma tumorale che le aveva terribilmente sfigurato il volto, oltre a causarle dei dolori terribili che lei (allergica alla morfina) non aveva modo di combattere.

Come qualcuno di voi forse ricorderà, Chantal aveva chiesto alla magistratura e alla politica la possibilità a porre fine alle proprie pene, nella legalità e circondata dell’affetto dei suoi cari. Una decisione sofferta, presa in accordo con i suoi tre figli, quella che l’aveva portata ad implorare lo Stato per il diritto a porre fine al proprio calvario.

Purtroppo per la signora Sébire ed i suoi cari, questo diritto le era stato categoricamente negato. Il presidente dell’alta corte di Digione ha respinto l’istanza presentata dai legali della Sebire, convinto che favorire il suicidio rappresenti un reato, accogliendo così il parere della Procura che aveva definito “irricevibile” la richiesta di eutanasia da parte della donna.

La vicenda terrena di Chantal Sébire è giunta alla fine due giorni or sono. Infatti, il suo corpo senza vita è stato ritrovato nella sua abitazione a Piombières les Dijon. L’inchiesta avviata dalla magistratura francese ha escluso il decesso per morte naturale. Alla fine, Chantal ha voluto riappropriarsi del proprio destino, anche se il suo passaggio “a miglior vita” non deve essere avvenuto come lei lo immaginava.

Infatti, in casi come questo i famigliari, già comprensibilmente molto provati, devono organizzarsi nel modo migliore per evitare di dover combattere una battaglia legale per dimostrare di non aver avuto nessun ruolo nel decesso. Insomma, in un momento di devastante tristezza ci si deve preoccupare di non essere incriminati per aver favorito la morte di un proprio congiunto. Trovo tutto ciò davvero indegno.

Ora la Francia intera si sta interrogando sul delicato tema dell’eutanasia e, come spesso accade davanti e tematiche così complicate, l’opinione pubblica si è letteralmente spaccata in due. Risultano degne di nota alcune prese di posizione di rappresentanti di quello Stato che aveva negato il proprio benestare alle richieste di Chantal Sébire.

Ad esempio, Nadine Morano, segretaria di Stato per la famiglia, ha commissionato una nuova valutazione del testo di legge relativa ai diritti del malato e sulla fine della vita. Inoltre, Bernard Kouchner, fondatore di “Medici senza frontiere” e ministro degli Affari Esteri, ha chiesto per casi simili a quelli di Chantal “un’eccezione alla legge che apra una porta per andarsene con dignità e con l’amore dei suoi familiari, che serva ad evitare i casi suicidio mascherato”.

Indipendentemente dalle vostre convinzioni etiche e morali, ritengo più che doveroso riflettere seriamente sul tema dei diritti dell’infermo. E’ giusto costringere una famiglia, già devastata dalla tragedia della malattia, a dover affrontare un nuovo “calvario legale”? Io lo ritengo disumano.

Come spesso mi accade, quando affronto degli argomenti che scuotono la mia sensibilità, fatico molto nel trovare le parole adatte a concludere il Post. In questo caso mi voglio affidare a Elvira Serra che, sul sito web della “Associazione Luca Coscioni”, ha raccolto l’essenza umana del caso di Chantal Sébire. Vi prego di leggere questo breve documento. Personalmente, nel dignitoso dolore di questa donna ho avuto modo di trovare molte risposte alle domande che mi ponevo sull'eutanasia.


Chantal non soffre più
di Elvira Serra

Le ultime parole di Chantal: “Mi negano l'iniezione per farmi morire con una terribile agonia”. Sospese le cure, la signora Sébire è morta in casa propria circondata dai tre figli. Lo sfogo della donna sfigurata da un tumore che aveva chiesto invano di poter essere sottoposta a eutanasia.

Chantal adesso non soffre più. Le serrande del suo appartamento, piano terra sul “Canal de Bougogne”, erano tutte abbassate, ieri mattina. “Adesso non c'è davvero più niente da dire”, ci aveva risposto in un soffio al citofono il figlio Vincent, poco prima delle dieci. Chantal Sébire è stata trovata morta nella sua casa di Plombieres-lès-Dijon. “Le cause del decesso sono ancora sconosciute. Faremo i prelievi e le analisi”, dice il procuratore di Digione Jean-Pierre Allachi. La verità è che lei non voleva più vivere. Affetta da un tumore terribile che le aveva deformato il volto e le procurava dolori tremendi, si era rivolta al Tribunale di Digione per ottenere il suicidio assistito.

I giudici lunedì gliel’avevano negato. “Ho 52 anni, sono malata da quasi otto. Ho tre figli: Virginie, Vincent e Mathilde. La più piccola ha tredici anni. Mi sono sottoposta a tutte le cure possibili. Mi sono battuta per guarire, ho lottato disperatamente, ho sperato con tutta me stessa, ho desiderato riuscirci. Ma ora che vita è quella che mi resta?”, aveva protestato lei. Martedì Vincent, il secondogenito, aveva aperto con stanchezza la porta bianca dell'appartamento numero 32. “Mamma adesso è a letto. E non so che cos’altro potrei dire, per lei”. Parlava a bassa voce. In mano una spugna, indosso la tuta da ginnastica, la pelle viola guastata da un eritema. Dietro di lui, nel soggiorno illuminato dalla luce del pomeriggio, una ragazzina con gli occhiali sorrideva, sfoggiando l’apparecchio sui denti.

L’unico segno di normalità nella casa che aspettava la morte. Chantal era nella sua camera. Due infermiere si alternavano per assisterla. Quella notte avrebbe dormito da lei la ragazzina dell’apparecchio, poi Vincent, naturalmente, che non l’ha lasciata sola un attimo durante l’ultima battaglia contro la giustizia francese. “Le mie sofferenze psicologiche potrete immaginarle. I miei dolori fisici sono insopportabili. Allergica alla morfina, non ho modo di alleviarli. I medici propongono di indurmi nel coma farmacologico. Ma che proposta è? Come posso costringere i miei figli a vedermi in queste condizioni?”, aveva spiegato Chantal. Era difficile guardarla in faccia. Il tumore che l’aveva aggredita al setto nasale, un neuroblastoma olfattivo, aveva stravolto il suo viso. Lei, già minuta, era smagrita. Non vedeva, non sentiva più i sapori, non riconosceva più gli odori. Ma era viva. “Come si può essere così ipocriti dal negarmi l’iniezione letale, e permettermi invece di rifiutare le medicine, i sedativi, l'alimentazione e l’idratazione artificiale, per morire in 15-20 ore, dopo un’agonia terribile per me e i miei figli?”, si era sfogata.

Alle 18 un medico e un assistente sociale avevano suonato alla porta. “Siamo qui per il controllo”. Madame Sébire aveva trovato un dottore disposto ad aiutarla: Bernard Senet. Avrebbe prescritto lui i 10 grammi di Pentothal necessari per il suicidio assistito. “Ma la sentenza del Tribunale di Digione, lunedì, aveva chiuso ogni discussione. Non si può aiutare una persona a morire, così dispone la legge Leonetti, che contempla il rifiuto dell’accanimento terapeutico, ma non il diritto a morire con dignità, come ha chiesto la mia assistita”, ha spiegato amareggiato l'avvocato Gilles Antonowicz, del foro di Grenoble.

Io domando di essere accompagnata alla morte come se fosse un atto di amore. Vorrei morire nella mia casa, circondata dai miei figli. Non voglio smettere di respirare dentro una stanza anonima di un hotel di Zurigo (perché in Svizzera il suicidio assistito è legale, nota di GuruKonK), né voglio impiegare mezzi che possano mettere a repentaglio la vita di altre persone o traumatizzare la mia famiglia”, era stata la supplica di Chantal ai giudici.

Un gesto di amore. Come quello che Mina Welby ha compiuto per suo marito. Accettando, suo malgrado, la volontà di Piergiorgio di abbandonare il corpo che lo imprigionava. “Io non avrei voluto. Lo volevo lì con me, non volevo separarmi. Ma ho dovuto sostenere la sua decisione. Era il mio ultimo gesto d’amore”, ha raccontato. Alle sette della sera di martedì, nel condominio basso di Rue Weotenga, è entrata anche una ragazza con i capelli neri raccolti, il completo bianco da infermiera, un sacchetto in mano. “Vengo dalla farmacia, ho la medicina”, ha detto al citofono. Dentro, Chantal Sébire si stava preparando a morire.

Elvira Serra


Così si conclude il Post di oggi . Sono sicuro che la storia straziante di Chantal Sébire avrà scosso la vostra anima come ha fatto con la mia. Per qualsiasi osservazione o riflessione al riguardo avete, come sempre, a vostra completa disposizione l’area commenti.

Non mi resta che salutarvi e darvi appuntamento a domani per un nuovo Post.

Con tanto affetto, GuruKonK.



Nell’immagine: Chantal Sébire prima della malattia.

mercoledì 19 marzo 2008

Ordinarie follie (ediz. 8.08)


Dopo una “lunga” attesa torna una delle rubriche più amate:“Ordinarie follie”. Dopo aver dedicato il Blog a temi come la politica internazionale, la lotta alla tortura, la prostituzione minorile, mi sembra proprio il caso di ritornare a sorridere un po’ per le pazzie altrui. Non trovate che sia un’ottima idea? Oggi parleremo dei gusti sessuali di un operaio polacco, che pare abbia un amore incondizionato per alcuni elettrodomestici. Scopriremo poi come l’uso mobile di un collegamento internet abbia rischiato di lasciare in mutande un ragazzo canadese. Inoltre vi presenterò una serie di leggi davvero paradossali, al limite del razzismo, che sono tuttora in vigore in alcuni Stati del mondo. Per concludere sveleremo qualche “bizza” caratteriale di uno degli attori più amati dalle donne: Leonardo di Caprio. Buona lettura!

Sesso con l’aspirapolvere
A Londra un operaio polacco è stato sorpreso mentre faceva sesso con un aspirapolvere e nonostante le sue giustificazioni è stato licenziato. L'operaio, scoperto nudo e in ginocchio da una guardia giurata, si è difeso dicendo che si stava pulendo le mutande con l'aspirapolvere (ah ah ah… questa è proprio buona!). La guardia ha invece detto che era impegnato in un atto di autoerotismo piuttosto violento con l'ausilio dell'aspirapolvere. Interpellato dai suoi superiori, l’uomo ha dichiarato che “passare l'aspirapolvere sulle mutande è una pratica molto comune in Polonia”. Già…

Una sberla di bolletta!
Il canadese Piotr Staniaszek pensava che con la sua “super tariffa” avrebbe potuto navigare senza limiti su internet con il proprio telefonino. Amara è stata la sorpresa quando, a fine mese, ha ricevuto una maxi bolletta da 85’000 dollari pari a circa 55’000 euro. La società con cui aveva sottoscritto l'abbonamento, la Bell Mobility, ha creduto alla buona fede del cliente e gli ha accordato uno sconto: pagherà solo 3’243 dollari.

L'uomo riteneva di poter usare il cellulare come modem per il suo computer portatile per scaricare, a 10 dollari al mese, tutto quello che voleva (infatti ha scaricato numerosi film in alta definizione e migliaia di file audio) ma alla fine del mese si è reso conto che le cose non stavano proprio così. Il 22enne Staniaszek, nonostante la “riduzione di prezzo generosamente accordata dall’azienda” ha annunciato che non intende pagare assolutamente nulla e anzi intende fare causa all'azienda. Vedremo…


Leggi assurde

A York (Inghilterra) è legale uccidere uno scozzese all’interno delle vecchie mura cittadine, ma solo con arco e frecce.

A Chester (Inghilterra), ai gallesi è proibito entrare in città prima dell’alba e sostare dopo il tramonto.

In Montana (USA) è legale sparare a degli “indiani” se sono più di sette, in quanto vengono considerati in formazione di guerra.

In North Dakota (USA) è legale sparare ad un “indiano” a cavallo, a condizione di essere su una carrozza coperta.

Nel South Dakota (USA) se ci sono più di 5 nativi americani sulla tua proprietà, gli puoi sparare senza incorrere in alcuna sanzione.

In Tennessee è tassativamente vietato il matrimonio interrazziale. Su questa legge si attende una sentenza della Corte Suprema.

A Dayton (Virginia, USA) le persone di colore non possono stare “dentro o fuori i confini cittadini dopo le 19.00”.

A Globe, in Arizona, è vietato giocare a carte per strada con un nativo americano.

A Columbus, in Georgia, tutti gli “indiani” devono tornare sul “loro” lato del fiume Chattohoochee prima del tramonto, pena l’arresto.

Vi faccio notare che tutte le leggi sopraccitate risultano essere tutte legalmente in vigore. Tuttavia molte di queste non vengono applicate da decenni, in quanto risultano essere in palese contrasto con le normative costituzionali.

Leo lo schizzinoso
Il famoso attore Leonardo Di Caprio è un igienista incallito. Durante i suoi viaggi non usa gli asciugamani dei vari alberghi dove soggiorna. Usando i suoi (tra l'altro di un certo pregio) diffida sempre personalmente le cameriere a non lavarle e nemmeno toccarle. Ma fa di più. Ogni giorno butta nella spazzatura indumenti come calzini e boxer usati una sola volta.

Spero che abbiate gradito questa edizione di “Ordinarie follie”. Come sempre vi do appuntamento a domani per un nuovo post.

Con affetto, GuruKonK.



Nell'immagine: un aspirapolvere, che in Polonia pare essere molto sexy.

martedì 18 marzo 2008

Tibet di sangue


Un caro saluto a tutti gli amici del Blog. Gli eventi che in questi giorni stanno insanguinando il Tibet non rappresentano solo una sfida per il governo cinese, chiamato a disinnescare una rivolta che minaccia l’equilibrio interno del paese a pochi mesi dall’inizio delle olimpiadi di Pechino. Gli scontri, che oppongono monaci buddisti e civili tibetani alle forze di sicurezza cinesi (a Lhasa e in altre zone della regione autonoma cinese del Tibet) hanno confermato anche il chiaro imbarazzo della comunità internazionale nell’affrontare i problemi connessi alla causa tibetana.

Il Tibet, che dal XIII secolo in poi ha alternato periodi di indipendenza ad altri di dominio cinese, è stato occupato militarmente dalla Repubblica Popolare Cinese nel 1950. Spinto da considerazioni di natura geopolitica (e non certo ideologica), Mao Tse-Tung lo voleva trasformare in un baluardo naturale contro eventuali invasioni da occidente. Le proteste scoppiate in tutta la loro virulenza nei giorni scorsi (le più importanti da quelle del 1989), hanno coinciso con la commemorazione della repressione del 1959, quando l’esercito cinese sedò nel sangue la prima grande rivolta dei tibetani contro la dominazione di Pechino.

All’epoca il Dalai Lama (la guida spirituale e politica del buddismo tibetano), fu costretto a fuggire e a stabilirsi a Dharamsala, nell’India settentrionale, dove fu formato anche un governo tibetano in esilio. I tentativi di giungere ad un compromesso tra le due parti sono sempre naufragati. Il Dalai Lama rifiuta con fermezza l’etichetta di “leader separatista” affibbiatagli dai cinesi affermando “di non aspirare all’indipendenza del Tibet, ma solo ad una sua maggiore autonomia all’interno della sovranità della Cina, alla quale spetterebbe il controllo della politica estera e di difesa”.

Con tutta probabilità (e con buona pace dello spirito olimpico) anche l’odierna sollevazione rischia di essere schiacciata dalle autorità cinesi con la forza. Pechino ha già dichiarato di voler condurre una “guerra di popolo contro la cricca separatista del Dalai Lama”. Colonne di mezzi militari cinesi sarebbero già in marcia verso il Tibet, mentre le autorità del Nepal parlano addirittura di agenti cinesi che opererebbero all’interno del loro territorio per bloccare possibili iniziative di rifugiati tibetani lungo il confine. Pechino non può permettersi cedimenti sul Tibet. La sua integrità territoriale è sempre a rischio, minacciata com’è da pressioni centrifughe interne (ad esempio nello Xinjiang) e da tensioni internazionali come quella sullo status di Taiwan.

I fatti di Lhasa hanno già fornito a Taipei una ghiotta occasione per i primi attacchi. Frank Hsieh, il candidato governativo alle presidenziali di Taiwan del 22 marzo, considera quanto sta accadendo in Tibet un test cinese per saggiare l’applicazione delle legge anti-secessione, che Pechino ha varato nel 2005 per impedire l’indipendenza formale di Taiwan. Bisogna anche pensare che Hsieh (indietro nei sondaggi rispetto al candidato nazionalista Ma Ying-jeou) ha condotto finora la campagna elettorale sconfessando la linea marcatamente indipendentista dell’attuale presidente Chen Shui-bian, suo compagno di partito.

La comunità internazionale ha fatto sentire la propria voce. Come per la crisi nell’ex Birmania dello scorso settembre, ha però assunto un approccio improntato alla massima cautela. Mentre esponenti della società civile chiedono il boicottaggio delle Olimpiadi di Pechino (peraltro non condiviso dallo stesso Dalai Lama), gli Stati Uniti, l’Unione Europea, il Giappone e l’Australia chiedono al governo cinese di esercitare moderazione, di liberare i detenuti politici, di rispettare le aspirazioni e tradizioni culturali del popolo tibetano e di aprire un concreto dialogo con i dimostranti e il Dalai Lama. La cosa, personalmente, mi pare abbastanza azzardata.

L’India si è unita al coro internazionale di proteste, ma allo stesso tempo ha bloccato con il pugno di ferro le manifestazioni dei rifugiati tibetani organizzate all’interno dei propri confini. Tutto ciò mi è sembrato un fulgido esempio di equilibrismo politico, dettato da bieche esigenze strategiche. Dal 1962, Delhi è impegnata in una disputa di confine con Pechino e negli ultimi anni ha avviato un processo di apertura diplomatica ed economica con il suo potente vicino. L’ospitalità indiana al Dalai Lama e al governo tibetano in esilio è sempre stata motivo di dissidio tra i due paesi, anche se il governo indiano ha strappato alla guida spirituale tibetana la promessa di non organizzare manifestazioni anticinesi sul proprio territorio.

Gli Stati Uniti mi sono sembrati quelli maggiormente impacciati, alla luce anche della recente pubblicazione dell’annuale rapporto sul rispetto dei diritti umani del dipartimento di Stato, che non ha inserito la Cina tra i dieci peggiori paesi al mondo. Nell’attuale congiuntura politica ed economica, Washington non può permettersi un nuovo “cataclisma geopolitico”, perché tale dovrebbe considerarsi un eventuale processo di destabilizzazione del delicato mosaico cinese.

La strategia di Washington, dunque, sembrerebbe più orientata al mantenimento dello “status quo” in Asia, come dimostrano le prese di posizione su Corea del Nord e Taiwan. Gli USA fanno grande affidamento sulle riserve valutarie di Pechino (che possiede la quota maggiore del debito estero americano) per finanziare il proprio deficit, nonché sulla capacità della Cina di assorbire le esportazioni mondiali, anche delle aziende americane. Nelle relazioni con la Cina, pertanto, gli USA non possono abbandonare il paradigma del “responsible stakeholder”, specialmente in un momento in cui l’economia statunitense è incalzata dal fantasma della recessione.

A questo punto sono costretto a fare una parentesi per spiegarvi il significato dell’ultima frase. Nel settembre 2005, in un discorso al National Bureau of Asian Research, l’allora vice segretario di Stato USA, Robert Zoellick, incoraggiò la Cina ad assumere il ruolo di “responsible stakeholder” nel sistema internazionale. Vale a dire quello di un “attore globale impegnato a cooperare con gli Usa nella lotta al terrorismo, a prevenire la diffusione delle armi di distruzione di massa, a promuovere il libero commercio e a collaborare in ambito energetico per rafforzare lo stesso sistema che stava alla base della sua ascesa politica ed economica”. Ecco fatto.

Anche i fautori del contenimento della Cina dovrebbero considerare il fatto che Washington non ha le risorse politiche ed economiche per cavalcare un processo di disgregazione della Repubblica Popolare Cinese. Il crollo dell’Unione Sovietica e del suo sistema imperiale è stato gestito grazie all’aiuto degli alleati europei, che si sono sobbarcati parte dei costi di riassorbimento dell’ex blocco comunista nella “comunità euro-atlantica”. Senza dimenticare che, alla fine degli anni Ottanta, l’URSS era una potenza in declino, al contrario dell’attuale Cina.

L’ipertrofico impegno americano in Medio Oriente esclude un’attenzione a tutto campo di Washington in Asia orientale. Il “Comando del Pacifico” ha recentemente lamentato la drammatica penuria di forze per poter affrontare anche impegni di ordinaria amministrazione. Sono gli stessi teorici del contenimento cinese ad ammettere che questo potrebbe effettivamente realizzarsi solo cedendo in appalto a vecchi e nuovi amici (Giappone, Australia, Corea del sud e India) gran parte degli sforzi lungo il “Rimland eurasiatico”.

Sarà difficile, dunque, che gli USA sfruttino la crisi in Tibet e tutti gli attriti geopolitici che covano sotto la cenere dell’autoritarismo cinese, per ostacolare l’ascesa di Pechino. Secondo diversi osservatori, per minimizzare il costo economico e politico di un suo intervento di stabilizzazione in Asia, Washington dovrebbe vestire i panni di un “onesto negoziatore”, impegnato più a comporre le crisi, accrescendo così il proprio prestigio, che a presentarsi come una potenza dedita a difendere il proprio status egemonico.

Capisco perfettamente che questo Post possa risultare “indigesto” a chi non si è mai interessato di geopolitica. Tuttavia ritengo importante affrontare anche questi temi perché da essi scaturirà l’equilibrio mondiale dei prossimi decenni. Per rendere il tutto più chiaro possibile, ho inserito alcuni “link” che vi potranno essere utili a per comprendere i passaggi più “ostici”.

Ringrazio di cuore coloro che hanno letto questo documento e tutti gli amici che seguono giornalmente il Blog con tanto affetto! Per tutti l’appuntamento è a domani per un nuovo Post.

Un abbraccio, GuruKonK.




Nell’immagine il Dalai Lama, leader spirituale e Nobel per la Pace 1989.


Fonte: E.Scimia, esperto di geopolitica e grande conoscitore della questione tibetana!

lunedì 17 marzo 2008

La memoria assoluta


Avete mai desiderato possedere una memoria prodigiosa, magari alla vigilia di un importante esame? Oppure, più semplicemente, non vi piacerebbe poter ricordare tutti gli appuntamenti e i numeri di telefono che vi servono senza dover aprire l’agenda? Certo, una simile capacità può essere utilissima nella vita di tutti i giorni, ma al mondo esistono persone con facoltà addirittura superiori. Infatti, una donna è in grado di ricordare tutto (lo ripeto: tutto) quello che le è capitato nel corso della sua vita; ed è in casi del genere che ciò che sembra una “benedizione” si tramuta facilmente in un incubo.

Andiamo per gradi. La donna in questione possiede la notevole abilità di non dimenticare nessuno dei banali dettagli che le capitano durante la giornata, e questo vale per l’intera sua esistenza. Nominatele qualsiasi data e lei saprà dirvi, con precisione assoluta, che giorno della settimana era, ciò che in quel giorno è accaduto, e pure che tempo c’era! Tutto questo le succede in quello che lei stessa definisce “un film che non si ferma mai”.

I ricercatori che si occupano del caso, ritengono che questa straordinaria abilità possa addirittura essere la chiave per riuscire a comprendere il funzionamento della mente umana.

La donna, conosciuta solo come AJ, non è in grado di dimenticare le cose, anche se lo volesse. La sua memoria scorre indietro fino alla sua gioventù, ed è in grado di ricordarsi qualsiasi cosa successa fin dalla metà degli anni ‘70.

Quando il professor James McGaugh, e i suoi colleghi dell’università californiana di Irvine, hanno chiesto alla donna cosa sia successo il 16 agosto del ‘77, lei ha prontamente risposto che è morto Elvis Presley, che suo cugino è caduto dalla bicicletta e che suo padre era dovuto andare dal dentista. Allo stesso modo quando le è stato chiesto del 25 maggio del ‘78, lei rispose che un aereo precipitò a Chicago, che litigò con una compagna di scuola, che l’insegnante volle convocare i genitori per un colloquio e addirittura che un suo vicino di casa ebbe un piccolo incidente con l’auto.

Una delle ipotesi portate avanti dai ricercatori che stanno studiando il caso, è che la donna sia legata emotivamente ad ognuno di questi fatti. Tuttavia questo non spiegherebbe perché AJ si ricordi perfettamente anche delle cosiddette banalità come, per esempio, chi sparò ad un personaggio di un dramma teatrale da lei visto negli anni ‘80.

A differenza delle persone riconosciute come “geni”, che hanno grandi abilità nel campo mnemonico ma pure molte carenze in altri ambiti, AJ non mostra alcun “difetto”, semplicemente non è in grado di dimenticare nulla di ciò che le accade.

I ricercatori hanno coniato un nuovo termine per descrivere una simile capacità: ipertinesia, che deriva dal greco “thymesis” ricordare e “hyper” oltre la normalità. Si tratta di casi talmente rari che si ritiene che attualmente ne esistano solo due in tutto il mondo.

Il “collega” di AJ è un uomo chiamato Brad Williams ed ha le stesse capacità della donna. La ABC lo ha scovato ed ha realizzato un documentario davvero interessante che vi consiglio di guardare, se masticate un po’ di inglese.

In entrambi i casi, sia del signor Williams che di AJ, c’è una profonda correlazione. Tutti e due, infatti, ricordano ogni data del calendario, le relative condizione meteorologiche e dove si trovavano in un determinato giorno.

Come sempre accade nella vita, ogni cosa ha il suo lato negativo e questa storia non fa certo eccezione. Infatti, chi è affetto da “ipertinesia” non riesce a scordare nemmeno un particolare di ogni tragedia, o anche solo di ogni brutta esperienza capitata nella vita.

Il giorno in cui morì mio padre è stato uno dei giorni più brutti della mia vita. Ogni volta che entro in casa e vedo un soprammobile che gli apparteneva o ascolto alla radio una canzone che gli piaceva, tutta la sofferenza del lutto mi afferra in una stretta terribile e mi tornano in mente tutti i drammatici particolari legati alla sua perdita”, così AJ racconta come avere una memoria assoluta possa trasformarsi in una maledizione.

E’ stato inoltre scoperto che se da una parte AJ ha una grandissima memoria di tipo “impressivo”, non si può dire lo stesso per la sua memoria “fotografica”. Infatti è stato chiesto a AJ di chiudere gli occhi e di descrivere in che modo gli stessi ricercatori fossero vestiti e a questa domanda AJ ha risposto che non ne aveva nessuna idea.

Da questo si è dedotto che AJ ha sì una grandissima memoria, ma questa risulta essere molto “selettiva” e su di essa la donna sembra avere poco controllo. Insomma, sembra quasi che sia questa sua capacità a “dettare le regole” e AJ è costretta a conviverci senza avere il comando della situazione.

Gli studi comunque andranno avanti su questi due casi, più unici che rari, per scoprire se davvero possano portarci a capire il funzionamento del bene più prezioso di tutto il pianeta: la mente umana.

Concludo il Post ringraziando tutti coloro che mi hanno fornito le loro impressioni circa il nuovo “layout” che ho adottato per il Blog. Naturalmente rimango sempre aperto ad ogni critica o consiglio che mi possa portare a migliorare queste pagine.

A domani per un nuovo post.

Con affetto, GuruKonK.



Fonte: grazie a “il rock” per la preziosa ispirazione!

domenica 16 marzo 2008

Nuovo look

Un caro saluto a tutti gli amici del Blog. Come qualcuno ha giustamente osservato (bravo Randy) ieri non ho pubblicato nessun post. La spiegazione di questa mia assenza è molto semplice: stavo lavorando per rifare il “look” a queste pagine.

Il risultato lo avete davanti agli occhi proprio in questo momento. Spero che questo nuovo “layout” possa rendere queste pagine un po’ più gradevoli. Non voglio dire che il vecchio “modello” non era soddisfacente, però dopo quasi cinque mesi mi era sembrato il caso di cambiare.

La nuova impostazione mi è parsa un buon compromesso, in quanto aggiunge un po’ di colore senza però sconfinare verso tonalità eccessivamente sgargianti ed “aggressive”.

Ci tengo a precisare che i vostri commenti in merito saranno, come sempre, più che benvenuti. Quindi non fatevi scrupoli e fatemi sapere le vostre opinioni circa il nuovo “look” che ho dato al Blog.

A domani, GuruKonK.

venerdì 14 marzo 2008

La logica della tortura


Le fotografie dei soldati statunitensi intenti a umiliare e terrorizzare prigionieri inermi nel carcere iracheno di Abu Ghraib, diffuse nel corso del 2004, hanno scioccato il mondo intero. Ma le azioni riprese dalle fotocamere non erano aberrazioni isolate né “atti di poche mele marce”, come li chiamò il George W. Bush. Infatti, in questi anni molte associazioni internazionali avevano denunciato casi del genere in Afghanistan, in Iraq, a Guantánamo Bay e in molte basi segrete anche in Europa. In un rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha rivelato ulteriori dettagli sulla crudeltà e l’illegalità del programma CIA di detenzioni segrete e sparizioni forzate, autorizzato nuovamente dal presidente Bush nel giugno 2007.

Le informazioni provengono dalla testimonianza di un detenuto che ha accettato di parlare solo con Amnesty International: si tratta di uno yemenita di 31 anni, Khaled Abdu Ahmed Saleh al-Maqtari, rilasciato recentemente dopo un lungo periodo di detenzione segreta. Inizialmente “detenuto fantasma” nel carcere iracheno di Abu Ghraib, è stato trasferito in una prigione diretta dalla CIA in Afghanistan e, da lì, in località segrete, dove ha trascorso due anni e mezzo in completo isolamento, senza accusa, senza processo e senza accesso ad una procedura equa. Nel suo colloquio con Amnesty International, ha denunciato numerosi episodi di tortura e di altri maltrattamenti.

La testimonianza di Khaled al-Maqtari getta maggiore luce sulla condotta illegale degli Usa nella “guerra al terrore”. Nonostante abbia riferito di essere stato sottoposto a crimini internazionali, come la sparizione forzata e la tortura, le sue denunce non sono mai state indagate. La segretezza che circonda il programma va di pari passo con la completa assenza di responsabilità penale” ha dichiarato Anne Fitzgerald, di Amnesty International.

Khaled al-Maqtari fu arrestato nel gennaio 2004 a Fallujah, Iraq, nel corso di un’irruzione dell’esercito statunitense in un mercato nel quale si sospettava venissero vendute armi. Furono arrestate almeno 60 persone. Venne condotto, senza essere registrato, nella famigerata prigione di Abu Ghraib, dove divenne un “detenuto fantasma”. Lì, secondo il suo racconto, fu picchiato, costretto a rimanere sveglio, sospeso a testa in giù in posizioni dolorose, minacciato coi cani, sottoposto a freddo intenso e ad altre forme di tortura.

In un’occasione, dopo essere stato picchiato da tre uomini all’interno di una piccola stanza, fu obbligato a rimanere nudo in piedi su una sedia, di fronte a un potente impianto di aria condizionata, tenendo in mano un’intera cassa di acqua minerale. Veniva periodicamente bagnato con acqua fredda, cosa che lo faceva tremare così tanto da non riuscire a rimanere in piedi. Khaled al-Maqtari ha inoltre raccontato di essere stato appeso per i piedi, con le braccia legate dietro la schiena, mentre una carrucola lo issava e lo abbassava verso la cassa dell’acqua.

Dopo nove giorni di durissimi interrogatori ad Abu Ghraib, Khaled al-Maqtari fu caricato su un aeroplano e portato in un centro segreto di detenzione gestito dalla CIA in Afghanistan, dove rimase altri tre mesi. I documenti di volo ottenuti da Amnesty International confermano che un jet di una “compagnia ombra” della CIA decollò dall’Aeroporto internazionale di Baghdad nove giorni dopo l’arresto di al-Maqtari, diretto verso l’Aeroporto Khwaja Rawash di Kabul.

In Afghanistan, secondo il suo racconto, Khaled al-Maqtari fu sottoposto a ulteriori torture e maltrattamenti, tra cui l’isolamento, l’obbligo di rimanere in posizioni dolorose, la privazione del sonno, l’annegamento simulato, l’esposizione a temperature estreme, l’incatenamento prolungato, la deprivazione sensoriale e il disorientamento, attraverso l’immissione costante nella sua cella di luci intense, musica ad alto volume ed effetti sonori.

Non era tanto la musica ma il rumore a terrorizzarmi, come in quei film della serie “Scream”... Ero terrorizzato, non c’erano i cani ma quel rumore... Ogni volta che cercavo di addormentarmi, colpivano la porta della cella in modo forte e violento” ha raccontato ad Amnesty International.

Quando la musica o gli effetti sonori cessavano, Khaled al-Maqtari tentava di parlare con gli altri detenuti. Calcolò che, nelle celle vicine, ve ne fossero una ventina tra cui Majid Khan, uno dei detenuti “di alto valore” trasferiti a Guantánamo Bay dai centri segreti di detenzione della CIA, nel settembre 2006.

Alla fine di aprile del 2004, insieme a un certo numero di compagni di prigionia, fu portato in un altro “buco nero” della CIA, forse in Europa orientale. Lì rimase per 28 mesi, prima di essere rinviato in Yemen, dove restò in carcere fino al maggio 2007.

Mai, nel corso di 32 mesi di detenzione, a Khaled al-Maqtari è stato detto dove si trovasse e perché. Non ha avuto accesso ad avvocati, parenti, funzionari del Comitato internazionale della Croce rossa o qualsiasi altra persona al di fuori di quelle che lo hanno interrogato e di quelle coinvolte nella sua detenzione e nei suoi trasferimenti. Tutto questo è una chiara violazione degli obblighi internazionali degli USA, il cui governo oggi ha di fronte a sé un caso di cui rispondere” ha proseguito Anne FitzGerald.

Khaled al-Maqtari è ora nello Yemen, alle prese con le conseguenze delle torture prolungate di ordine fisico e psicologico. Non ha ricevuto alcun risarcimento dagli USA, che devono ancora riconoscere la sua detenzione. Gli abusi che lo hanno colpito maggiormente, ha detto, sono stati gli anni di isolamento interminabile, la totale incertezza sul futuro, la costante sorveglianza delle videocamere e la segregazione dal mondo esterno, specialmente l’assenza di contatti con la famiglia.

Amnesty International chiede alle autorità statunitensi di porre fine all’uso della detenzione segreta; chiamare a rispondere i responsabili degli abusi commessi nell’ambito di questo programma; rendere noti i nomi, le situazioni e i luoghi di detenzione di tutte le persone imprigionate nel contesto della “guerra al terrore”; incriminare tutti coloro che sono ancora detenuti per un reato di accertata natura penale e processarli di fronte a un tribunale indipendente, oppure rilasciarli.

Come comprenderete, non voglio aggiungere nulla a questo documento.

A domani, GuruKonK.



Fonte del documento: Amnesty International



Nell’immagine: l’interno del famigerato carcere di Abu Ghraib a ovest di Baghdad

giovedì 13 marzo 2008

Il campo della vergogna


Per la terza volta, da quando ho aperto questo Blog, sono “costretto” a pubblicare un post di Beppe Grillo. Lo devo fare perché non riesco a tramutare in lingua scritta la feroce frustrazione che mi sento dentro. Io abito in Svizzera, ma a soli 40 minuti da Milano, la città che si è spesso auto-celebrata come “capitale morale d’Italia”. Ebbene, sapere che in questo comune “accentratore” delle ragazzine vengano rapite, stuprate, picchiate e fatte prostituire (riducendole in schiavitù) senza che nessuno intervenga, mi ha addolorato in un modo difficile da descrivere. La magistratura è perfettamente al corrente di quello che accade, e una p.m. (la signora Ester Nocera) avrebbe anche voluto intervenire per debellare questo traffico immondo e liberare le sfortunate ragazze. Purtroppo, un non meglio precisato “alto ufficiale” dell’arma dei Carabinieri non vuole dare il via all’intervento dei suoi uomini perché per un’azione del genere “sarebbe opportuno agire con molti effettivi, che al momento non sono disponibili”.

I Carabinieri non sono disponibili, che strano. Ma dove saranno andati a finire? Ah già… sono in Afghanistan, in Kosovo, e in altre “aree sensibili”. Tutto ciò è nauseante! Lo scopo primario delle forze dell’ordine dovrebbe essere quello di garantire il rispetto delle leggi e della dignità umana sul territorio nazionale! Io mi rifiuto di credere che non sia possibile organizzare una squadra numericamente sufficiente per liberare queste ragazze ridotte in schiavitù!

Forse basterebbe che qualche “alto ufficiale” alzasse il c..o dalla sua comoda poltrona e faccia il suo dovere, come richiesto dalla p.m. Nocera! E’ troppo pretendere che l’arma dei Carabinieri adempia ai compiti affidatale dallo Stato e dalla collettività? Spero di no, ma sembra di sì.


Sapessi quanto è strano fare la schiava a Milano
di Beppe Grillo

Ho fatto un giro a Milano. Le sfilate di moda hanno traslocato. Non si fanno più tra Via della Spiga e Via Montenapoleone, ma in Via Triboniano. In un campo nomadi, vicino al Cimitero Maggiore, messo a nuovo grazie al “Patto di Legalità” del Comune di Milano. Le modelle arrivano dalla Romania, belle e giovani, sui 15 anni d’età. Le ragazze non vengono truccate, ma stuprate, picchiate, tenute senza cibo. Poi escono in passerella, forse un po’ anoressiche, per un clan di delinquenti stranieri che le ammira nude. Completamente nude, dentro e fuori. Più sono belle, più il valore sale. Si pagano fino a 5’000 euro per una fanciulla da far prostituire sui viali. Le donne, un tempo, sfilavano nude di fronte ai nazisti che le selezionavano per le camere a gas.

Milano vuole l’EXPO 2015 e non sa proteggere delle bambine (perché sono poco più che bambine) nel proprio territorio. A Milano è ritornato lo schiavismo, la “Capitale del CO2 e delle polveri sottili” ha superato in peggio l’antica Roma. Le ragazzine sono merce sui marciapiedi per i pedofili locali. La richiesta è alta, le si può ammirare anche in pieno giorno. Carne fresca d’importazione.

Il campo modello non può però essere perquisito e, tanto meno, tenuto sotto controllo dalle forze dell’ordine. Lo riporta il Corriere della Sera: “Poche settimane fa il pm Ester Nocera avrebbe voluto ordinare una perquisizione a riscontro di una prostituta stanca di umiliazioni e botte, ma un alto ufficiale dell’Arma ha allargato le braccia. E il perché è spiegato facilmente. O al campo di via Triboniano ci si va in massa, o la perquisizione non serve a nulla, perché un sistema di sentinelle avverte dell’arrivo dei militari e avvisa chi può fare sparire persone o cose in tempo reale”.

Polizia di Stato, Carabinieri, Magistrati, Polizia locale, Guardie di Finanza, Vigili, Esercito: quanti sono tutti insieme? Centinaia di migliaia, ma insufficienti per il campo di Via Triboniano. Il pensiero di un cittadino si perde. Come è possibile che delle ragazze siano trattate come delle bestie non lontano da Piazza del Duomo, che tutti lo sappiano e non succeda nulla? Un maledetto nulla. Forse l’Italia non c’è più, forse siamo in estinzione.

Beppe Grillo (il suo Blog)


Su questo argomento avrei molto da dire, ma preferisco fermarmi. In ogni caso non riuscirei a comunicarvi i miei pensieri senza finire per insultare qualcuno… Vi chiedo davvero scusa, questa storia è talmente nauseante da impedirmi di ragionare come vorrei.

Vi do appuntamento a domani, forse è meglio.

Con affetto, GuruKonK.



Nell’immagine: prostitute minorenni fermate per un controllo a Roma